Le IntervisteTutto Napoli

Forgione: “la rivalità Juve-Napoli nel calcio la storia d’Italia, la bugia che ci raccontano…”

Angelo Forgione: “Juve e Napoli, nel calcio la storia d’Italia. Mezzogiorno questione irrisolta, Parthenope e la bugia che ci raccontano”.
Per la rubrica “Incontri d’autore”, la redazione di Napolipiu.com ha incontrato lo scrittore Angelo Forgione. La questione meridionale, il divario tra Nord e sud e la questione Juventus al centro della nostra intervista.

Angelo Forgione si racconta a Napolipiu.com

Napoletano doc, scrittore, giornalista e saggista, Angelo Forgione è anche storicista oltre ad essere grafico pubblicitario. È autore di noti libri di successo Made in Naples (2013), approfondita rappresentazione della cultura napoletana, Dov’è la Vittoria (2015), in cui offre una cruda ricostruzione relativa all’egemonia settentrionale nello sport nazionale in chiave politica, economica e sociale.

Da ultimo, Napoli Capitale Morale (2017), saggio storico in cui si narrano gli intrecci tra la vera capitale preunitaria, Napoli, e la vera capitale della nazione unita, Milano. Nel 2008 ha fondato V.A.N.T.O., un movimento di opinione, azione e sensibilizzazione culturale, con il fine di valorizzare Napoli e di promuovere la napoletanità. Il suo blog, che vanta moltissimi seguaci e ammiratori, attraverso articoli, interviste e videoclip è ormai punto di riferimento della cultura del meridione.

Da dove nasce l’amore per Napoli?

“Dalle mie radici e dalla mia indole. Sono napoletano, e sono curioso. Essere napoletani impone l’osservazione di mille contrasti tra bello e brutto, tra nobile e plebeo, tra sfarzoso e miserevole. Da piccolo notavo tutti questi contrasti e ne restavo spiazzato. Crescendo ho fatto leva sulla mia curiosità, il motore che ti conduce a non ignorarli, a non considerarli normali, a capire la realtà in cui vivi per come si è originata, non limitandoti a una semplice fotografia del presente. E ho compreso come molte cose sono state raccontate male o non raccontate per niente. Basta dire che la sirena Parthenope è in realtà è una donna-uccello, mentre tutti pensano che sia una donna-pesce. Una figura solare mistificata e trasformata in figura legata agli abissi. È il paradigma della narrazione di Napoli, luogo che è stimolo continuo, e io non le sono mai stato indifferente, neanche nell’età dell’incoscienza. La mia realtà e la mia indole mi hanno condotto ad amare la città più difficile da decifrare d’Occidente e a volerla capire”.

Come è nata l’idea del movimento V.A.N.T.O.?

Dieci anni fa, nel momento in cui sentii di aver trasportato il mio orgoglio dalla pancia alla testa, con lo scopo di evidenziare ciò che non funzionava a Napoli, e in Italia rispetto a Napoli. Tutto doveva passare attraverso il web: denunce, articoli, interviste televisive e radiofoniche, videoclip di mia creazione. Volevo darmi da fare per la sensibilizzazione al decoro e poi per la valorizzazione, cioè l’individuazione di valori di napoletanità autentica, che non andavano confusi con le imposture costruitevi attorno. Pensai al nome V.A.N.T.O., un acronimo che sta per Valorizzazione Autentica Napoletanità a Tutela dell’Orgoglio.

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Quali sono le emozioni che prova a fronte di commenti positivi e/o incomprensioni suscitate dai suoi libri?

Non vorrei sembrare presuntuoso, ma i miei libri non lasciano indifferenti chi li legge, e gli apprezzamenti, fortunatamente, fioccano. Semmai c’è qualcuno che non li legge per qualche preconcetto, ma non importa, perché Io scrivo per esprimere me stesso e scrivo per chi vuole conoscere la storia di Napoli, del Sud e d’Italia, e la società in generale. C’è tanta gente, anche non meridionale, che ha voglia di vederla in modo alternativo, diverso da come è posto dal racconto convenzionale. Devo dire che diverse attestazioni di apprezzamento arrivano anche dagli stranieri, tanto per i due titoli dedicati a Napoli, Made in Naples e Napoli Capitale Morale, quanto per quello sulla storia del calcio italiano, Dov’è la Vittoria, che ha interessato la stampa spagnola e persino l’importante network americano ESPN.

La questione meridionale

In merito al suo ultimo libro Napoli Capitale Morale, ottimo strumento per individuare e capire le ragioni, oltre che le origini, delle questioni meridionali irrisolte, ma anche importante linea di condotta, volta al futuro, verso le necessarie soluzioni, come mai tiene molto a cuore la cosiddetta ”Questione meridionale”?

Perché è questione irrisolta, appunto, ed è un problema serio, anzi, il problema per Napoli e per l’intero Mezzogiorno. È un problema che, per dimensioni e durata di sedimentazione, non ha eguali nel panorama dei paesi economicamente avanzati. Non si comprende davvero cosa intenda fare l’Italia per recuperare terreno rispetto al Nord Europa. Per riuscirvi non può più prescindere dal mettere mano alla “Questione meridionale”, che è ormai questione nazionale. Ma intanto i vari governi nazionali continuano a sovrintendere due Paesi distinti senza perseguire coesione, senza fare quanto necessario per rimuovere tutti gli squilibri sociali creati con gli errori politici commessi dal 1861 a oggi. I governi europei, poi, dimostrano che non è neanche più solo un problema tra Settentrione e Meridione d’Italia ma anche tra Nord-Europa e Mediterraneo. Sud Italia e Grecia, le culle della cultura continentale, avrebbero bisogno di un piano di rilancio da parte dell’Unione Europea, che non è neanche nelle intenzioni.

Perché ha voluto esaltare la napoletanitá?

Perché è un aspetto vitale, ormai peculiare nel mondo globalizzato, ed è un valore da preservare. Là dove c’è identità esiste un popolo. L’identità napoletana si manifesta in molteplici forme, è la più espressiva e antica che ci sia in Italia, dai tempi della Neapolis greco-romana, che già allora, col Foedus Neapolitanum, impose le sue tradizioni ellenistiche e la sua lingua greca a Roma latina. È un’identità che sopravvive miracolosamente, rivitalizzandosi continuamente, nonostante tutto. Napoli si è fatta, più di ogni altro luogo occidentale, cuore di una riflessione che riguarda le metropoli più antiche d’Europa, che hanno smarrito il loro orientamento. Se n’è accorta l’UNESCO, che protegge il centro storico di Napoli, l’antica Neapolis, per i suoi valori universali senza uguali che hanno esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e oltre. E prima ancora se n’è accorto l’ICOMOS, un comitato di oltre settemila tra architetti, geografi, urbanisti e storici dell’arte che già nel 1995 ha certificato che Napoli ha radici culturali completamente diverse da qualsiasi altra città italiana e che il confronto sarebbe inutile anche con città vagamente somiglianti come Barcellona e Marsiglia, poiché Napoli rappresenta l’unicità. Il problema è che l’unicità identitaria napoletana è stata declinata in modo folcloristico nell’ultimo secolo, tant’è che i turisti si recano a Napoli principalmente per i suoi colori, per i suoi sapori, per i suoi suoni, spesso dimenticando la sua aristocratica cultura, e solo quando vi si immergono comprendono che è anche una città ricca d’arte. Se vogliamo che Napoli venga percepita per quella gran capitale di cultura qual è abbiamo l’obbligo di raccontarla per bene, anche ai napoletani, e ridefinire i tratti della napoletanità, spesso confusa con la napoletaneria, che è l’esaltazione della sottocultura, della volgarità e della sciatteria di certi autocompiacenti napoletani.

Le due facce di Napoli

Da un lato lei esalta la città del Vesuvio come luogo in cui sognare, da amare e sostenere; dall’altro c’è la Napoli che non funziona, quella dei compromessi. Mi domando, come concilia questi due volti della medesima medaglia?

“Le due cose vanno fissate bene, e nessuna delle due deve far perdere di vista la realtà di un luogo unico e complicato. Napoli è una città stupenda ma deturpata dall’immobilismo politico e dalla conseguente condotta di quelli della napoletaneria, approssimativi e corresponsabili della cronicità di problematiche serie, di una Napoli plebea e randagia, a tratti invivibile. Ci vuole cura e cultura, e manca ad ogni livello. Il discorso vale anche per chi questa città la osserva da fuori, magari senza neanche conoscerla, mostrandosi fortemente interessato alle sue ombre e assai meno alle sue luci. L’elemento principale della narrazione attuale è la criminalità, che occulta i valori positivi dietro l’immagine imposta del male degli insistenti filoni giornalistici, letterari e cinematografici che non propongono speranza ma sola dannazione. L’immensa cultura di Napoli è sconosciuta a molti napoletani e la città ne risente anche in cultura civica. E non è un dato diffuso altrove. Quando si parla di città d’arte, l’etichetta va sempre a Roma, Venezia e Firenze, e troppo spesso non a Napoli, che è uno scrigno pieno di un ricchissimo patrimonio ed è ancora oggi la città più viva sotto il profilo artistico dello Stivale, tra eccellenze in quanto a musica, cinema, teatro, letteratura, cucina, e potremmo continuare”.

I meridionali Juventini

Riguardo la diatriba tra tifosi, vorrei approfondire la questione dei meridionali juventini. Al sud c’è una certa percentuale di persone che tifano squadre del Nord. Secondo lei, la fede sportiva per squadre come il Milan, l’Inter e, soprattutto, la Juve può derivare dalla loro grande storia calcistica ricca di vissuti vincenti?

“Nel calcio, e nel tifo per le squadre di calcio, c’è tutta la storia d’Italia, la colonizzazione del Sud e la conseguente creazione del triangolo industriale Torino-Genova-Milano del secondo Ottocento. A Torino, nel 1898, nacque la FIGC come espressione dell’élite borghese di radice economico-finanziaria del “triangolo”, che si era impossessato del gioco del calcio. Per circa trent’anni il Sud, Centro compreso, fu emarginato anche sportivamente, mentre altrove mettevano scudetti in bacheca. Fino al 1926 non esisteva una divisione nazionale, solo allora voluta dal regime fascista per ricondurre il calcio al dogma del nazionalismo mussoliniano, e così finì la dittatura sportiva del Nord ma non il gap, che resta evidente ancora oggi. Le squadre di Torino e Milano continuarono a vincere anche nel dopoguerra, quando la ricostruzione industriale del Nord attirò la massiccia emigrazione di massa dei meridionali, i quali, per farsi accettare da chi li discriminava socialmente, trovarono in quelle squadre il riparo e la parziale soluzione. La Juventus, più delle milanesi, intercettò quel sentimento e iniziò ad ingaggiare scientificamente tutta una serie di calciatori meridionali, che ingrossarono l’affezione ai colori bianconeri dei lavoratori venuti dal Sud, trasferita ai parenti nei luoghi di origine, dove ancora oggi si fa il tifo per le squadre settentrionali anche per tradizione patriarcale, anche quando quelle città riescono a raggiungere la Serie A. Allora si tifa per il Bari e per la Juventus, per il Palermo e per la Juventus, per la Reggina e per la Juventus. Figuriamoci quelli che neanche vedono la B. Purtroppo si tratta di una colonizzazione sportiva, figlia di una colonizzazione sociale. È tutto strettamente legato e in Dov’è la Vittoria lo spiego con chiarezza.

Tifo errante

Siamo ormai abituati anche ad un tifo juventino decentrato ed errante, tutto questo potrebbe essere alimentato dalla circostanza che vi siano grandi appassionati al calcio provenienti da zone della penisola senza una grande storia calcistica o che addirittura siano prive di una squadra in serie A?

I bambini di Bolzano, di Macerata, di Campobasso, di Matera, di Siracusa, di Olbia e di ogni cittadina senza storia calcistica, da Nord a Sud, è ovvio che si scelgano una squadra gloriosa e vincente. È una garanzia di partecipazione e soddisfazione, cose di cui sono privati alla nascita per questioni territoriali. Garanzie che, almeno in quanto a partecipazione, hanno solo nuclei cittadini identitari come Napoli, Roma e Firenze, e non è un caso che siano i centri dove il tifo per le squadre locali sia predominante e la rivalità con la Juventus fortissima.

Tutto il mondo è paese

Lei ha parlato di pistole puntate sui calciatori. È accaduto ultimamente a Milik ma in passato anche a Torino a Milano a Roma, come lei ha meglio precisato.
Dunque possiamo dire che ovunque si vada, buoni o cattivi che siano, i sentimenti umani non cambiano, sintetizzando che tutto il mondo è paese?

Certamente. Storie di rapine appartengono un po’ a tutto il mondo. È la grancassa mediatica che amplifica gli accadimenti negativi di Napoli, così come avvenne in occasione del colera del 1973, in cui Napoli fu piuttosto esempio di civiltà e di profilassi nella guarigione veloce da un vibrione diffuso dallo smercio di cozze provenienti dalla Tunisia e portatrici dell’epidemia anche a Bari, Cagliari, Barcellona e Valencia, dove ci furono meno morti e meno giornalisti ma dove l’emergenza durò molto di più.

Le rapine a mano armata? Bonucci ha avuto una pistola puntata addosso a Torino. Icardi a Milano. Panucci a Roma. Koke a Madrid. E nessuno che si chieda come mai i calciatori del Napoli, notoriamente idolatrati oltremisura, siano stati presi di mira dal 2008 in poi, anno del ritorno in Serie A degli azzurri di De Laurentiis, il presidente che aveva sciolto i lacci tra il club e certi soggetti delle curve.

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