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Atalanta, Papu Gomez: “Maradona è Dio, il mio percorso simile al suo”

Papu Gomez ha visto il documentario «Diego Maradona» di Kapabia «Per gli argentini è Dio. Il mio percorso è simile al suo, anche se non ho vinto nulla»

Alejandro Papu Gomez, capitano dell‘Atalanta ha visto e commentato «Diego Maradona»: «Mi è piaciuto tanto. Questo documentario su Maradona va ben oltre il calcio».

Il film di Asif Kapadia sul Pibe de oro, è potenzialmente definitivo. Per il modo in cui indaga la romanzesca vita, la morte sfidata e i numerosissimi miracoli di Diego Armando Maradona.

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PAPU GOMEZ E MARADONA

«Maradona? E Dio» dice il Papu Gomez, al corriere di Bergamo. «Così almeno in Argentina, per la generazione precedente alla mia – continua il Papu -. Ho 31 anni e ho vissuto Diego nella fase finale della sua carriera Il Mondiale americano del 1994, segnato dalle accuse di doping. La sua ultima tappa da calciatore, al Boca. Niente a che vedere con i campionati mondiali di «Messico ’86 e Italia 90 Gli anni di Napoli».

All’epoca Gomez era in fasce. «Sono cresciuto con i video, i documentari, i film, tutto ciò che riguardava Maradona».

Bastasse osservare sin da piccolo le gesta di un campionissimo, per diventare un campione. Uno capace di segnare gol «alla Maradona».

«La mia prima rete al Sassuolo, come quella di Diego all’Inghilterra? Bella, ma non c’entra nulla con la sua», si schermisce il nerazzurro. «Pensa a quale ripercussione ha avuto sulla storia del calcio – riflette Gomez -. Dopo più di trent’anni ogni volta che qualcuno parte palla al piede da metà campo e salta quattro o cinque avversari prima di segnare, tutti trovano una somiglianza con quel gol di Maradona».

Scegliere – la partita era la stessa – tra il suo piede sinistro e la sua Mano di Dios è complicato. Gomez non ha dubbi, vota «la mano»: «È geniale. Una giocata così veloce, che in tv nemmeno te ne accorgi. Non si può certo parlare di politicamente cor- retto. Però, con tutto il rispetto, dall’altra parte non c’era il Congo. Ma l’Inghilterra».

Ovvero, l’altra parte di un conflitto che riguardò argentini e inglesi, per il controllo delle isole «Malvinas.  Per il mio Paese, la vittoria e quel gol di mano sono stati come una rivincita sui danni della guerra».

Spiega Gomez: «Quando è arrivato Maradona, il Napoli lottava per non retrocedere. Diego ha portato una non big a vincere due scudetti, Coppa Uefa e Coppa Italia».

Gomez si rapporta, con intelligenza e consapevolezza, a un film «affascinante», che tocca argomenti sensibili Come il razzismo. Negli anni ottanta era Nord contro Sud: «È una idiosincrasia di questo Paese. Ho vissuto tre anni in Meridione (ai tempi del Catania, ndr) e so come la pensa la gente.

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MARADONA, PAPU GOMEZ E IL RAZZISMO

In Italia il razzismo c’è. Con stretto riferimento al calcio e al recente caso Dalbert, in Atalanta-Fiorentina.

Come gestisco la popolarità? Preferisco il cinema. Arrivo li corsa, sto chiuso al buio. Così sono poche le persone che mi fermano».

Maradona non c’è riuscito: «L’ho visto una sola volta. Era il 2005, non il suo momento migliore – ricorda Gomez-. Il film lo spiega bene, Diego è nato poverissimo e cresciuto con la pressione di dovere rendere felici gli altri. La droga e le cattive amicizie hanno peggiorato la situazione. Non lo difendo, ma non è facile essere Maradona».

Così il mito di un calciatore «toccato dal cielo. Dio gli ha dato un fisico straordinario», entra nel sangue. Specie di un connazionale, interprete della stessa professione.

«Mio figlio più piccolo compie gli anni il 30 ottobre», lo stesso giorno del Pibe de oro. «Quando è nato Milo – conclude Gomez – l’ho fatto sapere a Maradona». Diego benedice.

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