Nino D’Angelo: «Per lo scudetto ho perso la voce. Napoli è arte, Conte un gigante»

Nino D'Angelo su Conte

La voce è roca, bassa, affaticata. Ma il sorriso no, quello non lo ferma nessuno. Nino D’Angelo, cantautore, attore e volto simbolo della napoletanità più autentica, ha festeggiato lo scudetto del Napoli cantando e sventolando la bandiera sugli spalti del Maradona, come ogni tifoso vero.

«Ho urlato, cantato e saltato come un pazzo», racconta a La Gazzetta dello Sport. «E infatti sentite che voce ho oggi…». Martedì partirà per gli Stati Uniti per una serie di concerti, ma intanto resta a Napoli, immerso nell’euforia.
«È il quarto scudetto che vedo – dice – e ogni volta è un’emozione unica. Ma questo è stato inaspettato. Non ci avrei scommesso all’inizio».

Conte, anima del trionfo

Per Nino, il merito ha un solo nome: Antonio Conte.

«Ha ridato stimoli a calciatori che li avevano persi. Ha ricostruito un gruppo, ha reso di nuovo forte una squadra reduce da un anno complicato. Questo Napoli è Conte».

Ma proprio ora, nel momento dell’euforia, potrebbe arrivare l’addio del tecnico. E D’Angelo non lo nasconde:

«Mi dispiacerebbe molto. Abbiamo una bella base, con qualche innesto potremmo fare anche una grande Champions. Ma se non ha più motivazioni, è giusto che vada. Sarebbe difficile sostituirlo, non ho nomi da suggerire».

McTominay e Lukaku, i volti della festa

Tra i protagonisti dello scudetto, D’Angelo esalta McTominay:

«Che campione è? Determinante». E poi Lukaku, autore del gol decisivo:
«Ha segnato praticamente da solo, e lì è esplosa la festa. I vicoli, la città… sembrava un sogno».

«Napoli è esagerata, ma è arte»

Il cuore dell’intervista è però tutto nell’amore profondo che Nino nutre per la sua città:

«Napoli è passionale, è esagerata. Ma è un’esagerazione bella. Abbiamo dimostrato che Napoli non è solo folklore: il nostro folklore è arte».

E infine, il concetto più forte, più personale:

«Se rinasco voglio essere ancora napoletano. Il Napoli è di tutti, è democratico, è di ogni età e di ogni classe sociale. Allo stadio siamo tutti uguali. Come dovrebbe essere il mondo».