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Processo Juve, i Drughi: “I cori non erano contro Napoli ma contro la tifoseria, sono poco corretti”

I cori di discriminazione non erano contro Napoli ma contro i napoletani lo afferma un esponente dei Drughi la processo Last Banner

“I cori contro i Napoletani non erano razzisti, ma erano contro la tifoseria partenopea”  Lo afferma Luca  Pavarino. Il lancia cori dei Drughi, ha risposto alle domande  del  giudice del tribunale di Torino nell’ambito del processo Last Banner contro alcuni esponenti dei gruppi ultrà della Juventus accusati di pressioni indebite contro la società bianconera.

Il lancia cori o “lanciatore”, è il nome che indica la figura che durante le partite lancia i cori della tifoseria. “Ma non ho mai ordinato cori razzisti o discriminatori contro Napoli, ha voluto sottolineare l’esponente dei Drughi.

Alla domanda del giudice su Juventus-Napoli nel 2018 costò la chiusura della curva, l’ultras ha risposto:

“Cori territoriali anti-napoletani? Ne abbiamo fatti noi come moltissime curve di tutta Italia. Ma l’avversione è contro la tifoseria, non contro la città di Napoli o il popolo napoletano. Credo che sia perché questa tifoseria si è sempre comportata in maniera poco corretta, con manifestazioni che non avevano molto a che vedere con la passione sportiva”.

L’esponente dei dei Dughi ha poi aggiunto: “Il coro che successivamente fece chiudere la curva, sicuramente non partì dal sottoscritto e nemmeno dal secondo anello: ne parlammo a lungo fra di noi e nessuno ricordava di averlo lanciato”.

La pubblica accusa ritiene che iniziative come i cori vietati e lo sciopero dei canti fossero una forma di pressione verso la società Juventus, che all’inizio della stagione aveva revocato delle agevolazioni agli ultrà.

Nel corso del processo «Last Banner», che vede imputati i leader dei maggiori gruppi della curva sud: accusati, a vario titolo, di estorsione (al club), violenza privata (ad altri tifosi) e, per alcuni «Drughi», associazione a delinquere, si è parlato anche del caso Bucci.

Il giudice ha sentito Alessandro D’Angelo, security manager della Juve:

«Ho un rapporto professionale e personale con Andrea Agnelli, che conosco da 40 anni. Per 42, mio papà ha lavorato per la famiglia, come uomo di fiducia. Alla sera, di quel giorno, era turbato.

Mi preoccupai, come se fossero venuti a cercarmi a casa. Del resto, aver a che fare con gli ultrà era stressante. Vivevo di un compromesso: cedere sui biglietti, per quanto sapevo fosse illecito amministrativo, per garantire una partita tranquilla. Che mi sentissi minacciato personalmente non posso dirlo, che lo fosse la società, in termini di multe, sì».

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