Più di 150 partite con l’Atalanta: prima però un’infanzia terribile | “A 15 anni lavoravo in un’azienda di mattoni”

ferreira (calcionews24) - napolipiu
Una vita tra fatica, sacrifici e calcio: il legame con l’Atalanta non si è mai spezzato.
L’Atalanta non è solo una squadra di calcio. È un simbolo. Un pezzo vivo della città di Bergamo, che negli anni ha saputo costruirsi un’identità unica nel panorama italiano. Fondata nel 1907, la “regina delle provinciali” ha scritto pagine importanti della Serie A, diventando un esempio di solidità e progettualità.
Lo scorso anno ha raggiunto uno dei suoi traguardi più prestigiosi: la vittoria dell’Europa League, impresa che l’ha fatta entrare di diritto tra le grandi d’Europa.
Eppure, per capire davvero cosa rappresenta l’Atalanta, bisogna guardare oltre i trofei. Bisogna immergersi nella sua storia, nella sua gente, nei valori che porta in campo. Un club che non ha mai vinto lo scudetto, ma che ha fatto della costanza e del sacrificio la propria bandiera. Lo testimoniano le 64 partecipazioni alla Serie A, il record tra le squadre che non rappresentano un capoluogo di regione e che non hanno mai vinto il titolo.
Non è un caso che tanti calciatori, una volta passati da Bergamo, portino con sé un senso di appartenenza indelebile. Alcuni, anche dopo aver lasciato la Serie A, continuano a vivere e trasmettere l’identità nerazzurra, anche nei campionati minori.
Non solo Serie A: la passione non ha età
Tra i tanti volti che hanno indossato la maglia dell’Atalanta, ce n’è uno che continua a stupire. Oggi ha 45 anni, ma ancora gioca. E gioca sul serio. Milita con il Ponte San Pietro, squadra lombarda di Eccellenza, e di smettere non ne vuole proprio sapere: “Ho quasi 700 presenze da calciatore e non ho nessuna intenzione di smettere. Sono una via di mezzo tra un capitano e un allenatore, anche se a volte mi sento più un papà per questi ragazzi”.
E se oggi continua a correre in mezzo al campo con l’entusiasmo di un ragazzino, è perché il calcio gli ha salvato la vita. “A 15 anni lavoravo in un’azienda di mattoni. È lì che ho capito cosa significa la fatica vera, e cosa vuol dire lottare per qualcosa”. Parole che raccontano molto più di una carriera: raccontano una mentalità. Quella che l’Atalanta ha sempre cercato nei suoi uomini.
L’eredità di Doni e un legame indissolubile
Il suo punto di riferimento? Cristiano Doni, simbolo della Dea e uomo spogliatoio come pochi altri. “Mi ispiro a lui. Era un leader, uno che sapeva caricarti anche quando le cose andavano male. A questi livelli, certo, ho anche più tempo per la famiglia, ma la voglia di giocare è rimasta la stessa”.
Un esempio vivente dello spirito atalantino: determinazione, umiltà e grinta. In campo e fuori. Un percorso che parte da un’infanzia difficile, attraversa le notti europee e continua sui campi dell’Eccellenza. Perché certe storie non finiscono con l’ultima presenza in Serie A. Certe storie, semplicemente, continuano.