Il Dottor Evangelista, cardiologo del Monaldi, analizza il caso e spiega le procedure di primo soccorso. Focus sui controlli nel calcio italiano.
Il caso Bove rappresenta “una vittoria per la sanità italiana”, ma evidenzia anche alcune criticità nei protocolli di primo soccorso. A parlarne è il Dottor Marco Evangelista, cardiologo ed endocrinologo presso l’Ospedale Monaldi di Napoli, intervenuto nella trasmissione “Si gonfia la rete” di Raffaele Auriemma su Tele A.
“Il merito della sopravvivenza va attribuito principalmente al personale medico, più che ai calciatori intervenuti”, ha spiegato l’esperto, che ha poi evidenziato un punto critico: “In nessun contesto si agisce cercando di prendere la lingua: è una pratica da evitare assolutamente. Nel caso di un attacco epilettico, il rischio di lesioni gravi sarebbe altissimo”.
Il protocollo corretto, sottolinea il medico, è diverso: “Per scongiurare il soffocamento, il capo va esteso verso l’indietro. È una manovra basilare insegnata in ogni corso di primo soccorso”.
Sulla prevenzione nel calcio italiano, il Dottor Evangelista evidenzia l’eccellenza del nostro sistema: “I controlli sono stringenti, molto più che all’estero. In Francia, per esempio, non è neanche previsto l’ECG di base. Dal 1982, con l’introduzione del protocollo obbligatorio, i decessi in campo si sono ridotti del 98%”.
Riguardo le cause specifiche del caso Bove, il cardiologo spiega: “Sembra trattarsi di un’aritmia da abbassamento di elettroliti, probabilmente legata alla disidratazione. La miocardite pregressa potrebbe essere un fattore, considerando l’aumento dei casi post-COVID, ma probabilmente siamo di fronte a una combinazione di fattori”.
Sul tema del defibrillatore sottocutaneo, l’esperto supporta la normativa italiana che ne vieta l’uso in campo: “La legge non è molto esplicita, ma l’idea di prevenire ulteriori rischi è condivisibile. Tra contatti fisici e pallonate, il dispositivo non garantirebbe una sicurezza totale”.