Munnezzaro e monnezza
Munnezzaro e monnezza come nascono queste parole? la figura del munnezzaro e il concetto di monnezza spiegato da Luciano De Crescenzo.
Un giorno sono stato a Brunico, nell’Italia del Nord. C’era lo sciopero della Nettezza urbana. Ebbene i brunicensi (ma si chiameranno poi proprio così?) avevano deposto le loro immondizie secondo una precisione eccezionale. Tutti i pacchetti avevano la medesima grandezza e stavano a uguale distanza l’uno dall’altro. Non uno che si trovasse fuori posto. Purtroppo, però, non avevo con me una macchina fotografica per poterli immortalare.
Mi si dice inoltre che in alcuni quartieri di Lugano, abitati da quasi tutti napoletani, non si vede in giro un pezzo di carta straccia quasi a dimostrare che non è l’individuo a creare il disordine, ma è l’ambiente a favorirlo. Detto in altre parole, se mi trovo in una strada cosparsa di cartacce non ci penso su due volte e ne butto una pure io.
Munnezzaro e Monnezza
Settant’anni fa la situazione era diversa, e non per merito dei napoletani che in pratica erano gli stessi, ma dell’immondizia che non c’era. Era quasi una rarità. Ogni giorno ciascuna famiglia depositava fuori della porta di casa un involtino di carta (la plastica non era stata ancora inventata) con tutti gli avanzi del giorno precedente. Poi, di prima mattina passava un brav’uomo, da noi chiamato munnezzaro, che lo metteva in un sacco e se lo portava via. Quanto poteva pesare quell’involtino? Quasi niente. Tutto questo finché non arrivò la Civiltà dei consumi.
In Italia si calcola che ogni giorno un abitante produca nel suo piccolo 650 grammi di spazzatura, ovvero 6 quintali l’anno, o se preferite 48 tonnellate nel corso della vita, qualcosa, cioè, pari a ottocento volte il proprio peso corporeo. A detta della Legambiente, se mettessimo l’uno sopra l’altro tutti i vuoti a perdere che generalmente buttiamo via verremmo a costruire una torre alta un milione di chilometri, come dire il triplo della distanza tra la Terra e la Luna.
Munnezzaro e monnezza: Etimologia
Premesso che la parola “immondizia” viene dall’aggettivo “immondo”, avete mai partecipato a una festa di Natale? Dieci amici si scambiano 90 pacchettini regalo (dieci moltiplicato nove). Venti amici se ne scambiano 380. Trenta amici se ne scambiano 870. Il che in pratica vuol dire 870 scatole vuote che restano per terra insieme alle carte d’imballaggio, ai nastri e ai fiocchettini colorati, alla paglia e a chissà quante altre cose inutili. Il tutto, poi, da buttare il giorno seguente. Tutto questo perché? Per dare al destinatario del regalo l’emozione dell’apertura. L’aspetto tragico, poi, lo si ha a fine festa, quando per terra resta tutto quel di più che nessuno ha voluto.
Un ultimo esempio di consumo inutile: l’aspirina. Le pasticchine vengono incapsulate in appositi contenitori di plastica, a loro volta inseriti in una scatola di cartone, e accompagnate da un foglietto con le istruzioni per l’uso (come se per ingoiare un’aspirina fossero necessarie le istruzioni). Il tutto a sua volta viene messo dal farmacista in una busta contenitrice insieme allo scontrino con il prezzo. Attenzione, però, che le scatoline sono arrivate in farmacia in grandi contenitori di cartone insieme a bolle di consegna, a fatture, a ricevute e a chi più ne ha più ne metta. Paragoniamo adesso il peso totale di tutti gli imballaggi con quello minuscolo della pasticchina che va a fare il suo dovere entrando nello stomaco del malato e calcoliamo quanto viene gettato via e quanto viene ingurgitato.
Giunti a questo punto, esaminiamo il problema dal punto di vista dinamico. Rimuovere l’immondizia non vuol dire soltanto mettere in ordine un luogo, ma anche disordinarne un altro. Sorge così il vero problema delle discariche abusive e delle conseguenti proteste dei paesi scelti come luoghi di raccolta. Ci comportiamo, in pratica, come quelle domestiche che per fare prima nascondono la polvere sotto i tappeti.
Un posto giusto potrebbe essere la Luna. L’unico inconveniente sarebbe quello delle canzoni: invece di Venezia, la Luna e tu, bisognerebbe cantare Venezia, la Luna, la monnezza e tu.
Lo sai da dove derivano : appiccecata, appiccicare e appiccicarsi
Fonte: Il caffè sospeso di Luciano De Crescenzo © 2008 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano