Il Napoli non era così brutto da dieci anni, il breve periodo di Donadoni sulla panchina azzurra. Dopo la notte dell’ira Ancelotti è là, sotto la pioggia, senza neanche una giacca per coprirsi.
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Lo scrittore e giornalista Marco Ciriello, sulle pagine del quotidiano il Mattino ha commentato la crisi del Napoli:
ANCELOTTI COME DONADONI
Se ne sta a prendere la pioggia senza ripararsi, Carlo Ancelotti, disarmato lascia che testa giacca e panciotto si bagnino mentre il Napoli annega in campo sotto i colpi di un Genoa modestissimo.
E un Achab triste che non riesce a tenere i suoi, se ne sta dritto sul cassero a guardarli smembrarsi, fuggire sulle fasce fino a sparire dal gioco, pesci senza rete.
non basta l’abbraccio iniziale per tenersi buono il San Paolo se poi ognuno gioca perso dentro ai fatti suoi, e il capitan Ancelotti non riesce a rimetterli in ordine.
Un Napoli così brutto non si vedeva dai tempi di Roberto Donadoni, cross per teste che non ci sono, passaggi per triangoli immaginari, palla lunga e sperare perché di pedalare non se ne parla.
Ancelotti muto, triste, solo, che si domanda come Bruce Chatwin in Patagonia: “Che ci faccio qui?”
Ce lo chiediamo anche noi, dopo un tempo e mezzo di grossolanità calcistiche, di buio e scambi da separati in casa. Il Napoli sembra la casa di una famiglia a lutto, ma senza morto, c’è solo la tristezza e le liti per i comportamenti che hanno portato alla disgrazia, una disgrazia eduardiana, immaginata, sentita, ma senza corpo, si vive al capezzale di una assenza senza capire bene perché, bordeggiando le atmosfere kafkiane.
Il protagonista di tutto questo – suo malgrado – è Ancelotti, venerato maestro, incapace di ricompattare la squadra, ma anche di un gesto conclusivo, chiedere una scialuppa e abbandonare la nave, o gettare qualcuno in mare e provare a ripartire con un equipaggio ristretto e con una semplicità che dica: questa è la rotta, questa la mappa, questi gli ordini.
IL VENERATO MAESTRO MASTICA AMARO
Invece ci ritroviamo una ciurma smarmellata, che prima volta le spalle ad Ancelotti e poi non lo riscatta, non gli restituisce nemmeno un alibi per la pazienza, una prova di coraggio e affetto.
Il venerato maestro finisce stropicciato, il suo linguaggio evapora, e lui mastica amaro, dirige in modo stanco quelli che prima erano attacchi e ora sono maldestri tentativi.
la lentezza di Llorente – al quale viene chiesto persino di impostare – riassume l’imbarazzo di una squadra che non tira più in porta e le poche volte che ci prova lo fa in modo goffo.
Non vibra più niente, ma si sente scricchiolare tutto, la nave imbarca acqua, e nessuno si preoccupa, non c’è reazione tra un tempo e l’altro.
I cambi non portano mutamenti, e si procede senza meta. Ancelotti se ne sta in meditazione trascendentale senza emettere verdetti, senza riuscire a condizionare nulla, non provando a far risuonare la campanella della riscossa.
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ANCELOTTI NON BASTA PIÙ
Tutta l’eversione messa nel rifiuto del ritiro deve aver rubato l’energia per la partita, perché di velocità e brio non c’è traccia, e la pazienza di Ancelotti, il suo essere zen, non bastano più, perché il Napoli è svogliato e senza trama.
I fischi che scendono sulle teste dei calciatori con la pioggia diventano una cornice perfetta, si posano a tener compagnia alla solitudine del tecnico e alla sordità della squadra che non lo ascolta più.
Il resto è silenzio, un silenzio stupido e inutile, perché alimenta questo autismo, e non porta da nessuna parte. Un paradosso pirandelliano che chiude tecnico e squadra e società in tre stanze diverse senza un corridoio comune, e a raccontarli c’è una equazione senza risultato.
Via la bellezza, via la voglia di strafare, via anche i gol, rimane poco, non si può nemmeno più invocare un errore, una punizione, dei pali, niente di niente, rimane solo l’inequivocabile masochismo, che persiste e logora, e che dallo spogliatoio è arrivato al campo.
Il resto di niente, che si stampa sulle facce dei calciatori e poi viene riassunto su quella del tecnico, nessuno profitto, solo pareggi e sconfitte.
Quella che era una cooperativa del gol ora è una squadra da separati che di gol ne segna pochini. Quello che era un allenatore con grande visione e polso, ora appare uno che da un momento all’altro dice no, non ce la faccio più, come il Conte presidente del consiglio che sull’Ilva dice è troppo per me, non ce la faccio, e allora tutta la scommessa che stava sulle sue spalle e aveva dell’eroico pare un bluff.