Appanna: Quando a Napoli o più generalmente in Campania si vuole un po’ meno luce o un po’ di privacy in una stanza, s’appanna ‘a fenesta oppure ‘o barcone .
Ma perchè si usa Appanna? da dove nasce?
Di Gabriella Cundari
Lingua Napoletana: Appanna-Appannare
Quando si Appanna non si alita sui vetri, ma si chiude ‘o scuro (dal longobardo skur, “copertura”), ‘a ‘mposta (dal latino ponĕre, porre); ‘a persiana (dal francese persianne, detta cos’ perché proviene dai paesi orientali, dove era necessario, per il maggiore calore, proteggere dalla luce senza impedire la circolazione dell’aria); o, inifine, ‘a gelusia (dal greco ζηλoς (zelos), cura scrupolosa).
C’è un perché etimologico : la vista di un vetro appannato, che la condensa ha reso opaco, di colore lattiginoso, ci suggerisce un nesso con la panna. Ma è un suggerimento fallace. Perché appannare viene dal latino ad + pannum, cioè coprire con un panno, velare.
A Napoli si usano anche i veli, cioè le tende (o le zanzariere), ma per maggiore sicurezza e/o velatura si usa l’imposta di legno , che può anche essere detta scuro (perché l’onbra è scura), o gelusia (che non solo protegge gli ambienti da polvere e corpi esterni, ma è anche una forma di riserbo e di difesa della propria intimità).
Si racconta che gli Spagnoli nel quartiere Napoletano che da loro prese il nome, non facessero usare i balconi alle proprie donne così…per gelosia: nessun altro doveva guardarle al di fuori del legittimo consorte (o uomo, cioè proprietario). Ma le donne ne sanno una più del diavolo, e ben presto risolse la questione con opportuni segnali, come ci raccconta Ernesto Murolo:
Stámmoce attiente a ‘o segno cunvenuto:
– Barcone apierto: Ce sta ancora ‘o frato
– Perziana scesa: ‘O frato se n’è asciuto…
e ‘appuntamento è sotto ‘o pergulato!…