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Il Napoli di Gattuso, tra gioia e ossessione

Il Napoli di Gattuso  coltiva ancora l’ossessione per la sconfitta, gli azzurri non riescono a superare lo scoglio. La gioia delle vittorie è durata poco.

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IL NAPOLI DI GENNARO GATTUSO

Il Napoli di Gattuso in questa parte della stagione, pareva aver mostrato di essere uscito dalle difficoltà soprattutto dal punto di vista mentale. Contro il Lecce però non ha saputo rispondere alle situazioni negative che si sono determinate in campo.

La squadra azzurra ha ancora il tempo per aggiustare il tiro, per ridare senso al tutto. All’orizzonte ci sono la semifinale di Coppa Italia contro l’Inter e la suggestiva sfida di Champions contro il Barcellona. In realtà il Napoli ha già ricominciato a correre, ma ora deve mostrare di aver ritrovato continuità e concentrazione sul lungo periodo, le doti necessarie per poter vincere partite come quella con il Lecce.

OSSESIONE

Se fosse possibile stilare una classifica dei vocaboli accostati con maggior frequenza al Napoli di Gattuso in quest’ultimo periodo, “ossessione” si piazzerebbe senza dubbio ai primi posti. Nella parabola che ha portato da prima della classe a “Ciuccio” è caratterizzato dalla profonda, costante, inesauribile ossessione per la sconfitta. Come noto, l’ossessione è una condizione patologica che porta con sé diverse controindicazioni. Controindicazioni che tendono a diventare problematiche concrete e persistenti
Così, quando il Napoli ha imboccato la parabola discendente e il prosieguo del campionato cominciava a spaventare i tifosi, l’arrivo di Gattuso è sembrato una manna dal cielo, alimentata da una visione chiara e cosciente di chi e cosa avrebbe dovuto fare.

Gattuso è inarrestabile. Non lo fermano gli infortuni, alle gambe (come quando gioca 80 minuti col crociato rotto) e agli occhi («Vedo doppio ma non mollo»). Non lo fermano i limiti tecnici: il dinamismo riempie le lacune, lo stakanovismo strappa l’attenzione che i suoi piedi non avrebbero. Nella rappresentazione, Gattuso è l’uomo vero. È istintivo, ruvido, aggressivo. Da calciatore mette insieme 144 cartellini in 537 partite da professionista. Nel febbraio 2011 si becca 4 giornate di squalifica, dopo aver colpito a testate il vice-allenatore del Tottenham, l’ex milanista Joe Jordan.

Nella rappresentazione Gattuso è un puro in un mondo opaco. Prendere o lasciare. Non si nasconde, non è ipocrita, non ha filtri. Ai tempi di Pisa, va in conferenza e attacca i giocatori («Sono muso a muso con loro») e il presidente («Deve sistemare le cose, altrimenti nello spogliatoio non ci mette più piede. Perché devo morire io, mi devono portare via da lì dentro: muoio io, e lui può entrare»).

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IL PRESENTE ED IL FUTURO DEL NAPOLI DI RINGHIO

A Napoli, Gennaro Gattuso ha provato innanzitutto a fare le cose semplici. Fin dalla prima partita ha riportato il Napoli a muoversi e a giocare seguendo le direttrici del 4-3-3. Tra i motivi all’origine della separazione da Carlo Ancelotti si era detto ci fossero anche le tensioni con la squadra sul sistema di gioco, un 4-4-2 a tratti davvero confuso e anarchico. Il ritorno al vecchio sistema valorizzato da Maurizio Sarri ha però risolto solo in parte quei contrasti.
Gattuso aveva detto che il Napoli non «era una squadra pensante», all’interno di un discorso più profondo sulle filosofie di gioco con cui voleva riassumere le differenze, negli stili e nei metodi, tra il ciclo di Sarri e quello di Ancelotti.

Gattuso ha fatto una scelta ambiziosa in un momento in cui il Napoli aveva molti problemi, e non solo per le scelte di Ancelotti, non accontentandosi di piccoli accorgimenti per migliorare le cose ma provando a incidere in modo più profondo, con una fiducia nelle sue idee che non è stata intaccata dalle numerose sconfitte e dalle tre vittorie di fila. In gioco nei prossimi mesi non c’è tanto il miglioramento di una situazione di classifica ormai compromessa, almeno per le ambizioni che aveva il Napoli a inizio anno, ma la possibilità di guidare la probabile ricostruzione che attende gli azzurri al termine della stagione.

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