Scandalo nel calcio italiano: Lazio coinvolta con la malavita | Aperta indagine su Lotito
Lotito - fonte lapresse - napolipiu.com
Calcio e malavita sono spesso intrecciati. I business sono sempre più frequentemente interconnessi e i rischi sono altissimi.
I rapporti tra la malavita e i grandi club di calcio sono un tema complesso e delicato che ha attraversato decenni di storia sportiva. In molte realtà, specialmente in Italia e in Sud America, si sono verificati episodi in cui organizzazioni criminali hanno tentato di infiltrarsi negli ambienti calcistici per sfruttarne la popolarità e i flussi economici. Le curve e il tifo organizzato, in particolare, sono stati in più occasioni terreno fertile per la ricerca di consenso sociale da parte di gruppi legati alla criminalità.
Uno dei punti più discussi riguarda il controllo dei biglietti e dei parcheggi intorno agli stadi. In alcune città, la gestione parallela di questi settori è stata utilizzata dalla malavita per generare profitti e affermare la propria presenza. Allo stesso modo, l’influenza su gruppi ultrà ha permesso a certi clan di guadagnare visibilità, esercitare potere e, talvolta, ottenere protezione.
Non va dimenticato l’aspetto finanziario: i grandi club muovono cifre enormi e, di conseguenza, attirano interessi illeciti. Dalla compravendita sospetta di calciatori al riciclaggio di denaro attraverso sponsorizzazioni o trasferimenti, diversi casi giudiziari hanno dimostrato quanto il calcio possa essere vulnerabile alle pressioni criminali. Questo fenomeno non è circoscritto a un solo Paese, ma si ritrova in varie forme a livello globale.
Negli ultimi anni, federazioni e istituzioni hanno intensificato i controlli per ridurre questi rischi. Collaborazioni con le forze dell’ordine, normative più severe sulla trasparenza finanziaria e sistemi di videosorveglianza negli stadi rappresentano strumenti fondamentali. Tuttavia, il legame tra malavita e calcio resta una sfida aperta, che richiede vigilanza costante per proteggere l’integrità di uno sport seguito da milioni di persone.
I milioni dei clan sulla Lazio
L’inchiesta giudiziaria del 2008 ha portato alla luce un tentativo della camorra di mettere le mani sulla Lazio, con la complicità consapevole dell’ex bomber biancoceleste Giorgio Chinaglia, oggi latitante. Attraverso il clan dei Casalesi e il loro riciclatore di riferimento, Giuseppe Diana, sarebbero stati mobilitati 24 milioni di euro per rilevare il club, coinvolgendo figure carismatiche per alimentare la contestazione contro il presidente Claudio Lotito. La procura di Roma ha emesso dieci ordinanze di custodia cautelare, confermando il legame diretto tra Diana e l’organizzazione criminale di Casal di Principe, già coinvolta nel processo Spartacus.
Oltre a Chinaglia e Diana, i provvedimenti hanno colpito anche collaboratori e professionisti accusati di facilitare il progetto, tra cui il commercialista Bruno Errico, l’avvocato Arturo Ceccherini, il direttore di banca Mario Pasculini e il latitante Zoltan Szilvas. L’operazione “Broken Wings” si è conclusa con il sequestro di due milioni di euro da parte di Digos e Guardia di Finanza, solo una parte dei fondi che sarebbero dovuti transitare sui conti di Chinaglia per confluire poi nella trattativa.

Riciclaggio e reazioni degli indagati
Secondo le indagini, Diana era il vero burattinaio, che manovrava i suoi uomini raccomandando massima discrezione. Attraverso sponsorizzazioni sospette per la Coppa Italia e la Coppa Uefa, tentò di far confluire denaro contante proveniente da estorsioni e traffici illeciti. I magistrati sospettano anche ulteriori tentativi di infiltrazione in club di Serie A, Serie B e persino all’estero, con capitali dirottati tramite Ungheria e Svizzera.
A incastrare la rete criminale sono state le intercettazioni, le testimonianze dei pentiti e i riscontri bancari. Intanto, dagli Stati Uniti, Giorgio Chinaglia ha negato ogni coinvolgimento, dichiarando di non conoscere le persone coinvolte e affermando di non avere alcuna intenzione di tornare in Italia: «Non ho la minima idea dei fatti, per me era tutto finito due anni fa. Non tornerò per andare in prigione».
