Riccardo Bigon, direttore sportivo del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista al periodico È Azzurro
Cosa significa Napoli per lei? “Tanto. Mio padre ci ha giocato e poi allenato ottenendo grandi risultati. È un rapporto che va al di là della sfera professionale. È un vero e proprio sentimento che regala emozioni e gioie”.
Cosa ricorda dello scudetto del 1990? «A quel tempo giocavo, quindi non ero sempre in tribuna a godermi quella squadra. Ero sugli spalti a Bologna quando il Napoli vinse 4-2 e poi al San Paolo contro la Lazio nella gara che sancì la conquista del tricolore. Ovviamente partecipai ai festeggiamenti sulla nave».
A lei dopo due Coppe Italia e la Supercoppa manca lo scudetto. Le piacerebbe eguagliare suo padre? «La risposta è scontata. Chiaramente sarebbe bello riuscirci. Per un dirigente, comunque, la prospettiva è diversa. L’allenatore ha soprattutto il risultato sul campo da raggiungere, un direttore sportivo ha obiettivi ampi come la programmazione, la formazione della rosa e la crescita societaria al di là della singola stagione. Io ormai sono alla sesta con il Napoli».
Ripercorriamo la sua carriera. Ha cominciato alla Reggina. «È stata un’esperienza fondamentale. Sono entrato in questo mondo direttamente in serie A, dove sono ininterrottamente da undici anni. Ho avuto la fortuna di lavorare con un presidente competente come Foti, dal quale ho imparato tanto. Ho cominciato con un allenatore come Mazzarri che è un altro maestro. Li ringrazio per questo. Sono stati due motori molti forti per la mia carriera».
Ci racconta com’è nata l’ipotesi Napoli? «Era il 2009. Ricevetti una chiamata da Chiavelli (consigliere delegato, ndr) che mi chiese la disponibilità ad un incontro. Ero tra Pescara e Giulianova e cercavogiocatori per la Reggina. Ovviamente dissi sì. Ero in auto: cambiai subito strada, in direzione Roma».
Come mai De Laurentiis pensò a lei? «Reja gli parlò bene di me. Mazzarri ovviamente fu d’accordo. Ringrazierò sempre il presidente per l’opportunità che mi ha dato».
Direttore sportivo a tutto tondo. Quali sono i suoi compiti? «Secondo molti il mio lavoro si esaurisce con l’acquisto dei calciatori. Ovviamente non è solo questo. Devo creare le condizioni giuste affinché tutti i professionisti che lavorano nell’area tecnica possano esprimere al meglio le loro qualità. La resa di un magazziniere, ovviamente nel rispetto dei ruoli, è importante quanto quella di un portiere. Tra i miei compiti ovviamente c’è il rapporto con la squadra scouting, un settore all’avanguardia, visto che teniamo anche dei corsi a Coverciano, come docenti».
Ci spiega come lavora la sua equipe? «Faccio una premessa: dobbiamo inserire calciatori che siano compatibili al nostro contesto. Per trovare i giocatori è fondamentale sfruttare le informazioni. Noi ne accumuliamo tante. Naturalmente è importante che i miei collaboratori abbiano lo stesso sentimento calcistico perché bisogna percorrere la stessa direzione. Organizzo riunioni ogni tre settimane, ma non basta. Faccio in modo che la mia equipe possa vedere anche degli allenamenti della squadra a Castel Volturno in modo che possa rendersi conto di cosa cerchiamo, quando sono in giro per il mondo. Abbiamo un sistema collaudato e all’avanguardia: le relazioni delle partite mi arrivano in pdf via mail un secondo dopo il fischio finale attraverso un programma che abbiamo ideato. Tutto confluisce nella nostra banca dati che raccoglie a pure le diverse segnalazioni che riceviamo. Il nostro è un metodo innovativo, voluto fortemente da De Laurentiis. Abbiamo a portata di mano i profili di migliaia di calciatori secondo una scala di valori».
Cosa convince un giocatore ad accettare Napoli? «La nostra serietà. Un esempio: Benitez. Quando siamo andati a parlargli, il campo aveva già fatto tanto per noi. Abbiamo dimostrato con i risultati la nostra professionalità. Siamo gente credibile».
Entriamo nel dettaglio. Da quanto tempo inseguiva Gabbiadini? «Lo notai nel 2010. Giocammo un’amichevole a Rovereto contro il Cittadella (2-1 per gli azzurri, ndr) e Gabbiadini fu protagonista realizzando un gol. Parlai subito dopo la partita con il direttore sportivo dei veneti, Stefano Marchetti, e gli chiesi dettagli sul giocatore. Da allora, mi sono sempre informato con il suo procuratore, Stefano Pagliari, sulla possibilità di acquistarlo. Stavolta si sono create le condizioni e abbiamo affondato il colpo».
Quanto può dare Gabbiadini al Napoli? «Mi baso sui numeri che sono abbastanza chiari. E’ un giovane, classe ‘91, che ha sempre fatto tanti gol. Nel calcio questo è importante, poi ha fatto tutta la trafila nelle nazionali giovanili. È un mancino, ha una buona struttura fisica e ha caratteristiche universali. Ha potenzialità di livello e può crescere ancora».
L’idea Strinic com’è nata? «Me ne parlò Reja qualche anno fa, quando allenava l’Hajduk. Mi disse che aveva talento. Allora giocava terzino sinistro, esterno alto e a volte anche mezz’ala in un centrocampo a tre. Poi l’abbiamo affrontato anche con il Dnipro. Ovviamente lo abbiamo visionato dal vivo e abbiamo deciso di presentare un’offerta qualche mese fa. Siamo riusciti a chiudere presto la trattativa. È l’ennesima dimostrazione della forza del club: a mezzanotte e un minuto del 5 gennaio abbiamo già depositato due contratti».
Il mercato in entrata è finito? «Volevamo fare queste due operazioni e ci siamo riusciti centrando così i nostri obiettivi. Teoricamente non ci saranno altri acquisti, ma se dovessero creare le condizioni per sfruttare un’opportunità, saremmo pronti a coglierla ».
Qual è stata la trattativa più difficile? «Ne dico due. Rafael e Vargas. Il portiere brasiliano era seguito anche da Roma, Inter e squadre straniere. Per quanto riguarda il cileno, ho trascorso diverse notti insonni per definire l’affare considerando la concorrenza di Zenit San Pietroburgo e Chelsea».
Cosa non ha funzionato con lui? «Evidentemente non c’erano le giuste condizioni affinché potesse dare il meglio. Probabilmente fu un errore anticipare l’operazione di sei mesi. Pensavamo potesse ambientarsi, invece faticò ad inserirsi e questo fu un duro colpo alla sua autostima. Non è riuscito a rendere al meglio nel Napoli, ma non si può negare che sia un buon giocatore”.
Avrà un rimpianto sul mercato? «Sì qualcuno ce l’ho». Il primo? «Gareth Bale. Nel 2010, ero arrivato da poco al Napoli, e avevamo un’emergenza sulla corsia sinistra. Ci serviva un mancino e lui giocava poco nel Tottenham con Redknapp in panchina e si poteva acquistare, era molto giovane e non ci furono le giuste condizioni. Avremmo dovuto investire 10 milioni di euro. Peccato».
Il secondo? «Arturo Vidal. Mi sono mosso con anticipo. Incontrai ad aprile il suo agente, Felicevich, in occasione di Bologna-Napoli e poi mi recai in gran segreto a Leverkusen per parlare con il Bayer. Ho ancora il fax con la loro richiesta. Se il giocatore non fosse partito per la Coppa America, probabilmente l’avrei spuntata. Invece lui partì, prese tempo e poi si fece sotto la Juventus e l’affare si complicò».
Qual è stato il giocatore più sorprendente che abbia mai acquistato? «Ovviamente Cavani. Eravamo tutti convinti della sua forza. Ricordo che il suo acquisto fu anche contestato perché fu ceduto Quagliarella. Poi conquistò tutti: ha segnato 104 gol in tre anni. Davvero incredibile ».
Com’è il suo rapporto con Benitez? «È molto profondo. Per me è un onore lavorare con lui. È un professionista di livello incredibile che ha vinto tutto. L’intesa è molto importante nel quotidiano. Benitez tiene conto del giudizio degli altri, il nostro è davvero un bel confronto ».
Si sbilanci. Benitez resterà a Napoli? «I presupposti per un rinnovo ci sono. Il rapporto è ottimo e si lavora bene. Ovviamente non contano solo questi aspetti quando si stipulano i contratti. Parlerà con il presidente De Laurentiis e decideranno cosa fare. Benitez comunque non ha mai escluso di poter restare».
Cosa ne pensa della riforma Tavecchio? «Direi che è positiva. Dobbiamo restare al passo con le altre nazioni e noi club dobbiamo adeguarci in qualche modo. Ovviamente va applicata nei modi giusti. Il problema semmai è un altro».
Quale? «Si fa fatica a produrre calciatori italiani dai campionati giovanili. Non sono pronti. Il campione si afferma a prescindere, gli altri fanno fatica. La formula del campionato Primavera è sbagliata. Purtroppo in Italia il risultato è troppo condizionante ea volte è difficile portare avanti un progetto».
Quanto tiene in considerazione il settore giovanile? «È un tema che mi sta molto a cuore. Mi sono sempre occupato anche a Napoli del vivaio, poi è arrivato Gianluca Grava che è una persona eccezionale e con la quale lavoro in sintonia».
Il San Paolo le dà mai dei brividi? «Assolutamente sì. Quando lo stadio canta è qualcosa di incredibile. È impossibile rimanere indifferenti».
Cambiamo per un attimo argomento. Cosa fa Bigon quando non lavora? «Mi dedico prevalentemente alla mia famiglia, a mia moglie Bianca e ai miei due bambini, Albertino e Ludovica. Ho poco tempo libero e quindi quando posso ne approfitto per stare con loro».
Quali sono i suoi interessi? «Il cinema, ma riesco ad andarci poco, una volta al mese. Mi piace molto leggere».
I suoi autori preferiti? «Ultimamente ho letto la serie di Marco Malvaldi sui delitti del Bar Lume e i sei gialli della scrittrice svedese Camilla Lackberg. E poi ovviamente quelli del nostro team manager, Paolo De Matteis… ».
È scaramantico? Ha qualche rito quando conclude una trattativa? «Uno solo. I giocatori firmano il contratto sempre con la stessa penna».
Eccola. Come mai proprio questa? «È quella del Bayern Monaco, ricevuta in occasione del nostro incontro in Champions League».
C’è un motivo particolare? «Vedo nel Bayern Monaco il punto più alto del calcio europeo. È un vero e proprio modello. È un piccolo punto di riferimento per il Napoli»