Lo stadio Diego Armando Maradona, anziché incutere soggezione agli avversari, per il Napoli si sta rivelando un boomerang.
Lo stadio Maradona non è più la roccaforte del Napoli, nonostante la spinta dei tifosi la squadra di Spalletti ha perso 8 volte.
Il Napoli, ancora in corsa per lo Scudetto nonostante l’ennesimo ko interno maturato con la Fiorentina, è famelica in termini di punti lontano da Fuorigrotta ma in palese difficoltà tra le mura amiche: Spartak Mosca, Atalanta, Empoli, Spezia, Barcellona, Milan e due volte con la Fiorentina.
Se in trasferta il bottino del Napoli è super, con ben 11 vittorie tra campionato e coppe, discorso diametralmente opposto bisogna farlo prendendo in considerazione i match casalinghi: pressione legata al voler vincere ad ogni costo davanti al proprio pubblico, concomitanze tra calendario favorevole ed episodi sfortunati, trend discontinuo e difetti di personalità, portano in dote una squadra che dentro e fuori dal ‘Maradona‘ risulta ‘Dottor Jekill & Mr. Hide’.
NAPOLI, PROBLEMI AL MARADONA
Secondo Umberto Chiariello il problema non è lo stadio che incute soggezione, ma il modo di approcciare le partite in casa:
“Non è una casualità, perché a Fuorigrotta il Napoli gioca cercando la partenza dal basso o la palla sparata in profondità per Osimhen, che è scollato dalla squadra di 40 metri, con i compagni che devono rincorrerlo col motorino.
La squadra di Luciano Spalletti, che non ha grandi incontristi e per molto tempo ha dovuto fare a meno del camerunense Frank Anguissa, si affida a Stanislav Lobotka, abbassa gli esterni alti e li manda in raddoppio sui terzini. Insomma, gioca con il 4-5-1, con una linea di centrocampo molto più serrata e, così facendo, prende meno gol, ripartendo poi tra gli spazi”.
Il Napoli fa fatica perché non è strutturalmente in grado di ‘strozzare alla gola’ l’avversario, di costringerlo alla resa col pressing alto. Inoltre, prende gol da 8 gare consecutive, mentre prima era impenetrabile”.
PROBLEMA PSICOLOGICO NEI CALCIATORI
Il Maradona è realmente un tabù? C’è un spetto che alimenta punti di domanda sul rendimento interno stagionale dei partenopei. La palese difficoltà psicologica nel reagire agli schiaffi una volta preso goal.
Nel momento della necessità o della scossa i leader tecnici spesso e volentieri sono apparsi spenti/sottotono. In particolare Fabian Ruiz e Zielinski. Il talento c’è ma non viene accompagnato dalla giusta cattiveria mentale per aggredire la gara. Cosa invece ben riuscita ad esempio a Mertens, che cavalcando il ‘magic moment’ impreziosito dalla nascita del piccolo Ciro Romeo, contro Udinese e Fiorentina è entrato con fame e piglio da leader.
Nonostante ciò, classifica e passaggi a vuoto delle milanesi consentono comunque al Napoli di restare ancora aggrappato al sogno Scudetto: il calendario interno recita Roma, Sassuolo e Genoa quali ultimi scogli da superare, a patto che fuori casa le cose non cambino (previsti impegni ad Empoli, nella Torino granata e a La Spezia) e che il ‘Maradona’ torni ad essere amico.