«Maradona? Solo nominarlo mi fa venire i brividi»: Tommaso Starace, 40 anni nel Napoli tra caffè, scudetti e Diego

Il magazziniere del Napoli, simbolo di quattro epoche e punto di riferimento per decine di calciatori, si racconta a Fanpage.it: «Non ho mai fatto un giorno di festa per mia volontà». Dai rituali di Maradona all’umanità di Gattuso, passando per il dolore del post-Higuain e il sogno Champions.
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«Lo volete un caffè?». Così ci accoglie Tommaso Starace nella sua casa di Vico Equense affacciata sul Golfo di Napoli. È l’inizio di un lungo racconto, pubblicato da Fanpage.it a firma di Peppe Pace e Ilaria Mondillo, che ripercorre 40 anni vissuti all’interno del Napoli come storico magazziniere. Un ruolo che, nel suo caso, ha travalicato i confini di un semplice mestiere, fino a farne una figura amata da allenatori, giocatori e tifosi.
«Dal 1977 non ho mai fatto un giorno di festa per mia volontà», racconta Starace. «Anche mia moglie me lo dice: “Ma tu ancora vai a Napoli?”. Io rispondo: “Sì, perché mi piace, perché voglio stare con i campioni”». Un attaccamento viscerale, cementato in ogni fase della vita del club, dai dolori più profondi alle gioie irripetibili.
Uno dei momenti più difficili? «La retrocessione in B del 1997. Piansi. Ricordo il 5-0 di Firenze, Goretti che entra negli spogliatoi e dice: “Maledico il giorno che ho firmato per il Napoli”. Io, per lo sconforto, diedi un pugno alla porta e mi ritrovai con tre punti sulla mano».
Ma le cicatrici sono solo una parte della storia. Il resto è fatto di rituali, come il caffè, divenuto quasi iconico: «All’inizio qualcuno è titubante. Poi, come Laurent Blanc, ne diventano dipendenti. McTominay ora ne prende due al giorno. Sarri? Minimo cinque, con sigaretta annessa. Spalletti, invece, ne beveva poco per paura di ricominciare a fumare. Conte? Con moderazione».
Intervistato da Fanpage.it, Starace ha ricordato anche l’umanità di Gattuso: «Durante il Covid, lui e i giocatori fecero una colletta per aiutarci. Non potevamo lavorare, quindi non prendevamo stipendio. Quel gesto non lo dimenticherò mai. Rino è una persona immensa».
Impossibile non parlare di Maradona, che Starace ha vissuto da vicino: «Solo nominarlo mi fa venire i brividi. Era immenso, ci ha difesi dentro e fuori dal campo. Ci portò al suo matrimonio in Argentina: 350 italiani su un volo privato, c’ero anch’io con mia moglie. Era una festa per mille persone. Nessuno avrebbe mai fatto una cosa simile».
Il dolore per la sua morte è ancora vivo: «Se fosse rimasto a Napoli, non sarebbe finita così. Lo abbiamo lasciato solo. Chi gli stava vicino non ha fatto abbastanza. Lo hanno sfruttato. È morto come un cane, come si dice a Napoli».
Tra i ricordi più duri, anche il passaggio di Higuain alla Juventus: «Non voleva andarci, ma l’offerta era troppo alta. Sapeva cosa significava per i tifosi. Anni prima Maradona lo chiamò dallo spogliatoio: “Mi raccomando, domani fai gol alla Juve”. Sapeva tutto».
Oggi, con Antonio Conte alla guida, Starace sente di nuovo l’energia giusta: «Era l’allenatore che serviva a Napoli. Dal primo giorno ho detto: se non lo vinciamo quest’anno lo Scudetto, non lo vinciamo più».
E infine un sogno, da tifoso prima ancora che da lavoratore: «Nel 2026 il Napoli compie 100 anni. Il mio desiderio? Vincere la Coppa dei Campioni. Due anni fa ci siamo andati vicini, ma quei gol di Leao ci hanno svegliato da un sogno».
A chi gli chiede come voglia essere ricordato, Tommaso Starace risponde senza esitazione: «Per l’umiltà. Lo dico sempre ai miei figli e ai ragazzi: non bisogna mai essere gelosi, ma sempre disponibili per gli altri».