200 presenze in Serie A, poi a Napoli si rovina: “Ha scoperto la cocaina” | Muore giovanissimo per overdose
Napoli - napolipiu.com
I calciatori non hanno una vita facile e spesso possono cadere in problemi gravissimi, che causano conseguenze serie.
I problemi di droga rappresentano una minaccia concreta per i calciatori, sia dal punto di vista fisico che psicologico. L’uso di sostanze può compromettere le prestazioni atletiche, ridurre la concentrazione e aumentare il rischio di infortuni. Molti giocatori possono cadere in questa trappola per pressioni esterne, stress da competizione o semplicemente per cercare un modo per evadere da situazioni personali difficili.
Oltre agli effetti immediati sulla salute, le dipendenze da droga possono avere ripercussioni sul piano professionale. Sanzioni disciplinari, sospensioni e scandali mediatici possono compromettere la carriera di un calciatore, rovinandone la reputazione e creando problemi legali. Gli episodi più noti nella storia del calcio dimostrano come anche talenti straordinari possano vedere la propria carriera deteriorarsi rapidamente a causa di comportamenti legati alle sostanze stupefacenti.
Il supporto psicologico e medico diventa quindi fondamentale. Club e federazioni stanno investendo sempre più in programmi di prevenzione, screening periodici e assistenza per chi mostra segnali di dipendenza. La sensibilizzazione è un passo chiave per ridurre i casi e tutelare la salute dei calciatori, insegnando loro a riconoscere i rischi e a chiedere aiuto in tempo.
La responsabilità sociale del mondo del calcio gioca un ruolo cruciale. Promuovere un ambiente sano, educare i giovani calciatori e sostenere chi è in difficoltà può contribuire a prevenire problemi di droga e garantire che il talento sportivo non venga compromesso da scelte pericolose, preservando così sia la carriera che la vita personale degli atleti.
Il dramma e il dolore di un padre
Andrea Agostinelli, ex centrocampista del Napoli e allenatore con esperienze in Albania e Congo, racconta al Corriere della Sera il dramma vissuto con la morte del figlio Gianmarco nel 2014 a Montecatini. Aveva 33 anni e, insieme alla tragedia, Agostinelli ha perso una parte di sé: «Quando vivi una tragedia simile, per metà muori anche tu, non ti risollevi più. È un fatto innaturale». La scoperta dell’uso di cocaina da parte del figlio ha aggravato il dolore: «Lo abbiamo mandato in comunità… aveva esordito in C2». Il tecnico confessa di essersi spesso colpevolizzato per non averlo protetto abbastanza e di continuare a pensarlo quotidianamente.
Nonostante il dolore, Agostinelli ha continuato la sua carriera, tornando subito in panchina in Albania. Allenare è stato un modo per evadere e sfogarsi: «Ogni mattina scrivevo il suo nome sulla sabbia». Oggi trova conforto nella famiglia, con la figlia Giordana e il nipotino Lorenzo, che sente come un segno del figlio scomparso. L’esperienza lo ha segnato profondamente, ma gli ha insegnato anche la resilienza necessaria per affrontare tragedie personali pur continuando a vivere e lavorare.

La carriera internazionale e la passione per il calcio
Agostinelli ripercorre anche la sua carriera da allenatore, tra Flamurtari, Congo e altre esperienze internazionali, sottolineando la passione che lo guida ancora oggi. Ricorda momenti intensi con i giocatori e storie commoventi, come quella di un ragazzo che lo chiamava «Coach ti amo», a conferma del legame umano e sportivo che il calcio può creare.
Oltre al dolore personale, Agostinelli riflette sui valori da trasmettere ai giovani: disciplina, educazione e rispetto della vita. Pur avendo vissuto tragedie e difficoltà, la sua priorità resta la serenità della famiglia e la possibilità di trasmettere ai propri giocatori insegnamenti di vita importanti, mostrando come il calcio possa insegnare resilienza e responsabilità.
