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Operazione Platinum, la ’ndrangheta puntava alla Juve: Offerti locali commerciali all’Allianz stadium

La ’ndrangheta puntava alla Juve e agli enti locali. Dalle deposizioni dell'operazione Operazione Platinum emergono nuovi dettagli.

La ’ndrangheta puntava alla Juve, dopo il controllo del bagarinaggio, affiliati puntavano ad aprire attività commerciali all’interno dello stadium. Secondo quanto riporta il quotidiano del sud, alcuni esponenti della ’ndrangheta vantavano ingerenze persino nella società della Juventus e sarebbero stati in grado di condizionare gli enti locali piemontesi.

LA ‘NDRANGHETA E LA JUVENTUS

Non c’erano solo i proventi del narcotraffico riciclati in attività commerciali e imprese. Almeno questo è quello che racconta il 33enne collaboratore di giustizia Domenico Agresta, che con le sue rivelazioni ha contribuito a disarticolare il “locale” di Volpiano, stroncato con l’operazione Platinum messa a segno dalla Dda e dalla Dia di Torino che hanno eseguito 33 arresti in Italia e all’estero.

Secondo le deposizioni rese agli inquirenti, tra le varie attività che gli esponenti della ’ndrangheta svolgevano intorno alla Juventus c’era anche quella di aprire una caffetteria e una sala giochi all’interno dell’Allianz Stadium:

«L’ufficio mi domanda se sia mai stato allo stadio a vedere la Juventus, dico di sì. Io ho tute, maglie firmate, mio cugino Agresta Domenico classe ’86 mi ha detto che uno che è amico dei Papalia, gli procurava queste cose e gli aveva offerto locali nello stadio nuovo per fare una caffetteria con Gianfranco Violi».

CAFFETTERIA ALL’INTERNO DELLO STADIUM

Spiega uno degli indagati che poi aggiunge: «Questa persona procurava biglietti, maglie, tute, è un amico di mio zio Antonio classe ’60, ma non so chi sia né dove abita e da dove venga. È un contatto di mio cugino Domenico Agresta classe ‘86, è un contatto forte perché gli avevano dato già i due locali nel nuovo stadio. Me ne parlava molto mio cugino, dicendomi che era in contatto anche con una agenzia di moda a Milano, ma non so essere più preciso a riguardo. Mio cugino mi aveva detto che era stato anche nell’ufficio di Lele Mora. Né mio padre né mio zio vendono biglietti, gliene regalavano per andarci».

La caffetteria nello stadio, però, non si fece perché scattò l’operazione Minotauro. «Non so cosa avvenne alla scarcerazione di mio cugino che avrebbe voluto fare una caffetteria e una sala giochi».

I riscontri sono ancora tutti da appurare, ovviamente, ma lo squarcio che si apre sembra assolutamente inquietante. L’epoca è quella precedente all’operazione Minotauro, uno spartiacque che sancì che anche il Piemonte è terra di ’ndrangheta.

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