Calcio Napoli

Zambardino affonda Insigne: “Quali lacrime, non vai in guerra. Non sei come Totti. Sei il capitano dell’ammutinamento”

Lorenzo Insigne giocherà in Napoli-Genoa la sua ultima partita allo stadio Diego Armando Maradona, poi a fine stagione si trasferirà al Toronto. L’addio di Insigne al Napoli sarà salutato con una festa nello stadio di casa, che si preannuncia tutto esaurito proprio per salutare il capitano azzurro.
In queste ore c’è chi reagisce in maniera tutt’altro che affranta all’addio di Insigne, come Vittorio Zambardino che sul Corriere del Mezzogiorno scrive un lungo editoriale:

Lacrime? Tu parti, ma non vai in guerra, Lorenzo caro, hai fatto una scelta razionale e professionale, due aggettivi legittimi ma che non commuovono. Però sì, il saluto ti è dovuto.
Tranquillo, nessuno pensava «de morì prima» del tuo addio, come hanno detto a un altro capitano, Francesco Totti. Quella sì fu una festa vera, perché quello aveva rifiutato il Real
Madrid per la squadra che l’aveva messo al mondo del calcio. Lui sì, era una bandiera, tu non sei una bandiera. Ma sei uno di noi, in un certo senso «sei» noi. Noi ti avremmo voluto come bandiera e leader, e non ci siamo mai rassegnati alla tua realtà «media», nemmeno quando avendo ricevuto il potere, come sempre succede a chi lo riceve troppo e troppo presto, non ne sei stato all’altezza.
E poi sei vittima anche tu, come tutto il Napoli e Napoli, che pensa che di talento divino ce ne sia stato uno soltanto. Dopo Diego, il diluvio, non è possibile apprezzare ed elevare altri
campioni. Di conseguenza non ci rendiamo conto di quando davanti a noi passano giocatori più umani di Lui, ma comunque grandi atleti. Qualche nome: Cavani, Higuain (sì, Higuain, e facciamola finita con le guerre di religione), Mertens, Jorginho, Albiol, Fabian Ruiz.

Napoli ha bisogno di macinare malumore, pessimismo, Napoli ha bisogno di degradare ciò che ha: non sei sfuggito a questo destino, di fischi ne hai ricevuti troppi, questo è vero. Per responsabilità
della città ma anche perché tu sei napoletano come noi: presuntuoso, pigro, furbo. Per non essere sleale, chi scrive questo pezzo deve confessare: ero pazzo di te, ero pronto a litigare con chi sosteneva che tu fossi uno da centro classifica (litigherei ancora su questo guarda un po’). Come in qualsiasi amore l’illusione vinceva sulla realtà – «sì, è immaturo,
conosce un solo tiro e un solo ruolo, ma si farà, studierà, crescerà, guarda che gol ha fatto col Borussia».
Passati gli anni, tu sei rimasto con un solo tiro, con un ruolo e mezzo, con l’idea di essere «fatto e finito» e il rifiuto di imparare e migliorarti. Ti hanno dato la maglia numero 10 della
nazionale, ma ci rendiamo conto dell’occasione? Potevi renderci orgogliosi tutti, portare il nome di Napoli in cielo, ma ad ogni appuntamento sei venuto a mancare. Dovevi crescere e non sei cresciuto e col tempo la tua presunzione è diventata insopportabile, non eri sincero nemmeno quando dicevi «ho sbagliato».

Proprio come questa città, che a ventunesimo secolo inoltrato aspetta ancora una mano dallo stato. A te è stata data ogni opportunità, ma tu non hai studiato, non hai lavorato, non ti sei sacrificato. Perfino fisicamente, nel modo di muoverti in campo, certe volte hai incarnato la presunzione di chi «appare» senza essere, eppure non sono mancati grandi maestri sulla strada del tuo Napoli. Tu hai infranto i nostri sogni più e più volte, oltre il limite del perdonabile e rimani per noi il capitano dell’ammutinamento (quella è stata la tua fine) e degli obiettivi mancati. Per cui, fatti i conti, meglio così: addio, con immutato affetto.
p.s. Oggi ci sarà questa festa, nel nostro stile, «scurdammece o’ passato», musica e bandiere. Ma è un po’ presto per dimenticare tutte le illusioni perdute, quindi non ti dispiacerà se, come si dice su twitter, #iorestoacasa. Meglio così, perché poi siamo napoletani anche noi. Ci
dovesse mai scappare una lacrima traditora.