Conte alla rovescia

Antonio Conte firma maglie, scatta selfie, poi corre. Corre davvero, lasciando il centro sportivo di Castel Volturno con il volto teso e gli occhi della tigre. Corre verso il destino che lo costringe in tribuna nel giorno più importante, quello che potrebbe consegnare il quarto scudetto della storia del Napoli, ma anche il suo nome alla leggenda: primo allenatore del Sud a vincere lo scudetto con una squadra del Sud.

Una corsa simbolica, intensa, come racconta Fabio Mandarini sul Corriere dello Sport, quasi a voler dare l’ultimo slancio alla sua squadra. Oggi, al Maradona, sarà cinquantamila più uno: un popolo intero più il tecnico che ha trasformato il Napoli da decimo in classifica (a -41 dall’Inter solo un anno fa) a capolista solitaria, a una sola vittoria dal tricolore.
Dati da record, numeri da capolavoro

Il Napoli di Conte non ha avuto Maradona, né Osimhen, né Kim. Ha avuto Lukaku, McTominay, Anguissa, Di Lorenzo, Lobotka, Meret, un Politano infinito, e Kvara, che però ha lasciato a gennaio. Ma ha costruito una macchina affilata: 27 gol subiti, miglior difesa d’Italia e seconda in Europa, 18 clean sheet, primato europeo. E tutto questo con il quinto attacco della Serie A (57 gol): se dovesse vincere, Conte firmerebbe lo scudetto con l’attacco meno prolifico di sempre in un torneo a 20 squadre.

Una stagione che sembrava condannata, diventata capolavoro di equilibrio: zen in difesa, punk in intensità.
Il capolavoro collettivo

Non è stato il Napoli più spettacolare, ma è stato quello più compatto, più squadra, più capace di assorbire ogni urto. Un boa calcistico, come lo definisce Mandarini, che ha stretto e inghiottito avversari anche più forti. E se oggi il traguardo è lì, a un passo, è perché questo gruppo ha superato ogni limite.

Nonostante gli infortuni, le cessioni, le difficoltà offensive. 22 giornate su 37 in testa alla classifica, senza mai mollare. Un’opera memorabile. Ma, come ogni opera d’arte, va firmata. Con una vittoria. Con lo scudetto. Con la storia.