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SPORTWEEK – Con il Var c’è più giustizia. Per qualcuno vale la pena abituarsi

Gli arbitri un tempo erano la faccia dura della legge, giusta o sbagliata, ma comunque inesorabile. Con il Var c’è più giustizia. Per qualcuno vale la pena abituarsi.

di: Luigi Garlando SportWeek

Con il Var c’è più giustizia

La sosta del campionato non serve solo alle nazionali, serve anche a tutti noi per riordinare i sentimenti dopo due giornate di Var. È passato un uragano tropicale, la geografia è stata stravolta, non saremo mai più come prima. Gli arbitri, innanzi tutto. Un tempo erano la faccia dura della legge, giusta o sbagliata, ma comunque inesorabile. Puntavano il dito come il Dio della Cappella Sistina e creavano una verità. Pensate alla perentorietà di Concetto Lo Bello.

Per qualcuno vale la pena abituarsi

Corretta? Falsa? Non importa, era una verità inappellabile e questo dava una serenità di fondo ai calciatori. Avevano la certezza di essere governati da un’entità superiore. Ora invece, durante Roma-Inter, dopo il contatto in area tra Skriniar e Perotti vedono il povero Irrati che sillaba smarrito all’auricolare: «che faccio?», e hanno la sensazione di abitare sotto un cielo vuoto, in un calcio senza dio o con un dio nuovo, che non ha più sembianze umane. Smarriti anche i giocatori quindi. Prima, davanti a una decisione sgradita, avevano lo sfogo naturale della protesta, depuravano la rabbia con le urla. Ora si devono tenere tutto dentro. Se uno accenna una protesta, l’arbitro gli scaglia contro l’esorcismo. Disegna nell’aria un rettangolo e vade retro!, “io non c’entro, l’ha detto la Var”.

 

Arbitri smarriti

Gli arbitri la impugnano come uno sfollagente e i giocatori si ritrovano disarmati, invocando una sosta. Smarriti i giocatori anche perché erano abituati a vivere una partita come una gara di cento metri, in apnea, e invece ora sono costretti a fermarsi di continuo, a guardarsi attorno, a sentire il sudore che si raffredda addosso; spaesati come vecchi dipendenti al primo giorno di pensione. Non sanno che farsene di tutto quel tempo libero. Ma neppure noi che osserviamo in poltrona o allo stadio sappiamo che farcene: anche noi seguivamo in apnea.

Il var come un film dei fratelli Lumière 

Le immagini ci arrivavano con un flusso continuo ed era uno degli aspetti più rilassanti, perché ci consentiva di staccare il pensiero, già così indaffarato durante la settimana, e di ricevere solamente spettacolo, possibilmente bello. Ora, invece, quando l’arbitro fa l’esorcismo siamo costretti a richiamare al lavoro il cervello, ci maceriamo di speranze e di dubbi: se il Var lo ha chiamato e lui non ha visto, allora sarà rigore, però può essere anche che l’arbitro abbia fatto bene a non dare il rigore e ora la Var gli darà ragione… Logoranti minuti d’attesa che diventano un supplizio, come l’attesa di un referto medico. E poi a vedere i giocatori fermi si spezza la magia dello spettacolo, come se si accendessero le luci di un teatro a metà atto e gli attori in costume si mettessero a chiacchierare con il ragazzo delle bibite invece di recitare Shakespeare. Però ora c’è più giustizia e quindi vale la pena abituarsi. In fondo i primi spettatori fuggivano davanti al treno dei fratelli Lumière e oggi andiamo tutti al cinema, felici e contenti.

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