Insigne emblema della napoletanità, è diventato leader della squadra azzurra. Il numero 24 si racconta al corriere dello sport: Sarri, Napoli e il futuro..
di Walter Veltroni Corriere dello sport
Lo scugnizzo ormai è grande: ogni traguardo con il Napoli e con la Nazionale sembra possibile.
Lorenzo Insigne emblema della napoletanità
Insigne, come ha cominciato a giocare a calcio ?
«Io abitavo a Frattamaggiore e, tramite il papà di un mio amico il cui figlio già frequentava una scuola calcio, fu fatta la proposta ai giovani del quartiere di andare a fare un provino. Non mi volevano perché ero il più bassino della comitiva. E portarono mio fratello. Io andai a vedere la sua partita e piansi a dirotto perché volevo entrare in campo. Alla fine mi accontentarono e da quel momento non sono uscito più, perché ho fatto subito bene e ho continuato a giocare con la scuola calcio».
Quanti anni aveva?
«Otto anni».
I suoi genitori che lavoro facevano?
«Mio padre il calzolaio e mia mamma la casalinga».
Ha comprato loro qualcosa appena ha potuto?
«Sì, dal giorno in cui ho fatto il contratto con il Napoli, anche se non erano tanti soldi, ho detto subito a mio padre di smettere di lavorare perché se prima andavamo avanti con il suo piccolo stipendio ora con millecinquecento euro ce la potevamo fare ad andare avanti insieme. Da quel mio contratto non l’ho fatto mai più lavorare, chino sulle scarpe da riparare. Poi ho regalato loro anche un appartamento, ora abitano vicino a me. Sono contento di questo, perché ho ripagato tutti i sacrifici che hanno fatto per me».
«Da piccolo immaginavo di entrare al San Paolo e segnare: è proprio quello che è successo al mio debutto»
Se dovesse dire a un bambino napoletano che cosa è il calcio, cosa gli direbbe?
«Io gli direi di fare sacrifici fin da bambini, perché io ne ho fatti tanti. Ho rifiutato discoteche, serate con i miei amici perché anche da piccolo giocavo alla scuola calcio la domenica e il sabato sera andavo presto a letto, alle otto. Lo facevo perché avevo già il desiderio fortissimo di diventare calciatore. I sacrifici alla fine pagano. La gente mi vede ora che gioco nel Napoli, che guadagno tanto, con la maglia del Napoli e dice che sono fortunato. Li capisco ma io sento che non è fortuna ho fatto tanti sacrifici per arrivare fino a qua e continuerò a farli, perché giocare al calcio è sempre stata la mia passione. Poi bisogna dire a questi ragazzi che “sacrifici” e “sognare” sono le due parole fondamentali. Non solo nel calcio, nella vita».
Leader del Napoli
Se la ricorda la notte prima dell’esordio in serie A?
«Sì, ero in ritiro a Castel Volturno ed era il primo anno dopo Pescara. Avevo fatto un anno là, sono tornato e sono andato in ritiro con la prima squadra. Mazzarri, che mi aveva fatto giocare uno spezzone di partita nel 2010, mi disse che potevo e dovevo conquistarmi un posto in squadra e io feci il massimo per rimanere e per giocare. Ho esordito contro il Parma e ho fatto anche gol. E’ stata un’emozione indescrivibile, da bambino, in quella stanza a quattro letti, era il mio sogno: mettere la maglia azzurra, entrare dal sottopassaggio del San Paolo, e segnare un gol. Tutto successe, tutto in una volta. Una grande emozione».
Chi è stato l’allenatore più importante della sua vita?
«Anche se sono giovane ho conosciuto diversi allenatori. Ho avuto Zeman che mi ha lanciato nel grande calcio e che ha puntato su di me sia in serie C che in serie B, e lo ringrazio tuttora. Poi Benitez, che mi ha fatto capire l’importanza della fase difensiva. Io, sinceramente, prima mi fermavo a centrocampo e non facevo la fatica di aiutare la squadra, rientrando.
Questo poi è il terzo anno che sto con Sarri, lui veramente vive di calcio e si sta impegnando tanto, come si vede in campo. Le persone, anche non del Napoli, mi fermano e mi dicono che noi divertiamo il pubblico quando giochiamo. Ma non succede per caso: stiamo tante ore sul campo con la palla e proviamo di tutto. E’ grazie all’allenatore se oggi sono arrivato a questo punto, sia a livello contrattuale con il Napoli, sia a livello umano, sia in Nazionale. Devo tanto a Sarri, perché mi ha insegnato tanto. E continua a farlo».
Lo scudetto
Che cosa manca al Napoli per vincere lo scudetto?
«Manca… io non penso manchi tanto perché quest’anno siamo andati vicini a fare una grande impresa. Dispiace perché abbiamo fatto un grande campionato, non siamo arrivati né secondi né primi, però abbiamo finito bene il campionato e quest’anno ripartiamo da una grande base. La cosa importante è che fino a ora non è andato via nessuno e spero che rimarremo tutti per fare un grande campionato».