Dal buio alla luce: Conte riscrive il Napoli in 43 giorni

Antonio Corbo

Antonio Corbo

Dal buio più cupo del 9 novembre alla luce accecante della Supercoppa 2025. In mezzo, appena 43 giorni. A ricostruire il filo di questa metamorfosi è Antonio Corbo sulle pagine di Repubblica Napoli, firmando un’analisi profonda e tagliente sul ritorno del Napoli campione d’Italia. Tutto parte da quella frase che sembrava aver segnato un punto di non ritorno: «Perché io non voglio accompagnare i morti». Ribellione, fuga, strappo. Poi la rinascita.

In quel momento non era cambiato il calcio, né il Bologna. Era cambiato – o meglio, si sarebbe ritrovato – il Napoli. Una squadra allora messa male in campo, stremata, spaventata da infortuni inspiegabili e piegata dall’emergenza. Una domenica nerissima. Come sottolinea Antonio Corbo per Repubblica Napoli, è bastata una separazione temporanea tra squadra e allenatore, più figlia di uno strappo che di una scelta condivisa, per avviare un processo di ricomposizione.

Determinante il ruolo della società, capace di riunire voci diverse in un’unica direzione. La mediazione del presidente, il lavoro silenzioso del dirigente Giovanni Manna, la compattezza di uno staff medico e atletico finito nel mirino, la maturità di una squadra esperta. E poi una figura invisibile ma centrale, Lele Oriali, ormai immerso nei chiaroscuri del Napoli senza mai cercare la scena. Tutto questo, evidenzia ancora Repubblica Napoli con l’analisi di Antonio Corbo, ha reso possibile ciò che sembrava impensabile.

Perché 43 giorni fa nessuno avrebbe potuto immaginare una Supercoppa vinta con tale superiorità, con una logica schiacciante e una freschezza atletica recuperata in tempi record. Contro avversari tutt’altro che banali, gli stessi capaci di eliminare l’Inter dalla ricca vetrina di Riad. Penalizzato, semmai, un Bologna troppo ottimista, fedele al credo di Vincenzo Italiano, temerario fino all’uno contro uno difensivo. Risultato: rossoblù intimiditi troppo presto, come osserva Antonio Corbo su Repubblica Napoli.

Questa metamorfosi porta una firma chiara: Antonio Conte. Solo un guerriero con quel volto sempre teso, eccitato da mille avventure, poteva risalire da una caduta così rovinosa sul ponte di comando. Maestosa la sua direzione di gara. Bologna archiviato, squadra riconquistata, uomini rimessi in corsa. E soprattutto idee corrette. Tutto ruota attorno agli stessi interpreti, ma in una ristrutturazione evidente.

Neres, da oggetto smarrito in panchina, diventa protagonista assoluto. Non solo perché gioca, ma per come e dove gioca: parte da destra, si accentra, manda in crisi Miranda e Lucumí, costretto a dividersi con uno straordinario Hojlund. Elmas, da riserva avvilita di Anguissa, si sposta a sinistra e domina la corsia con Spinazzola, cancellando Orsolini e Holm. Un dettaglio tecnico che Repubblica Napoli, attraverso la firma di Antonio Corbo, individua come snodo chiave della svolta.

Il Napoli si sistema in un 5-4-1 compatto in non possesso, corto, flessibile, con Lobotka direttore d’orchestra. I due gol di Neres raccontano solo una parte della storia: va oltre se stesso, come Hojlund, caparbio e persino elegante nei tocchi di tacco. Sulla destra Politano combatte in simbiosi con Di Lorenzo, dietro giganteggia Rrahmani, Juan Jesus resiste fino alla resa. La fase difensiva è magistrale.

Come se l’avesse giocata anche lui, questa finale. Conte non si distrae un istante, guida il Napoli con il suo furore, lo ritrova, lo plasma. Genio e rabbia insieme, come tasti schiacciati su una playstation nuova di zecca. Così, in appena 43 giorni, il Napoli è tornato se stesso. Campione.