Cosa si prova quando si attraversa via Foria? I Miracoli, La Sanità, ‘O Paradisiello. Nomi che evocano aspettative ferite. Ce lo racconta un napoletano
Di:Salvatore Casaburi *
Via Foria
La città non è diversa dai manuali sui quali gli studenti devono sostenere i loro esami. Col passare dei giorni, l’esaminando si accorge che l’oggetto del suo apprendimento ha bisogno del particolare procedimento che va sotto il nome di “ripasso”
La città è il mio manuale fatto di pietre, di architetture, di spazi e, soprattutto, di volti e di storie. Non mi basta attraversarla alla ricerca di quella che è anche la mia vita. Non mi bastano le immagini accumulate nel corso del tempo (tanto) che è alle mie spalle. Osservo i luoghi e mi rendo conto che il futuro della città è l’esame al quale, insieme, saremo inevitabilmente sottoposti.
Per questo, continuamente, sfoglio il mio “manuale urbano” con la sensazione che non l’ho “ripassato” abbastanza, che non sono ancora pronto per affrontare esami che, splendida intuizione eduardiana, non finiscono mai. Attraverso perciò la città per ripassarla, anche se ho sfogliato le “pagine in forma di luoghi” innumerevoli volte. E, puntualmente, mi accorgo che di ogni singola “pagina” mi erano sfuggiti particolari fondamentali.
Attraverso via Foria, archivio di sensazioni custodite e classificate con cura. “Ripasso” lo stupendo boulevard e mi accorgo di non averlo sufficientemente studiato. La vecchia stazione della “Piedimonte d’Alife” è diventata un albergo stellato.
Via Foria inizia lì, anche se, toponomasticamente, il vecchio edificio orfano dei rumorosi “papuncielli” gravita sulla piazza dedicata all’illuminato sovrano di Napoli e di Spagna. Di fronte, le rimosse memorie di un altro terremoto, quello del 23 novembre 1980, evocano altre morti, poveri anziani fatti vivere su solai di lapillo e ruggine, sopravvivenza di tecniche costruttive autarchiche e pezzenti. Ho ancora negli occhi lo squarcio di ferita di Palazzo Fuga, con le macerie accatastate contro il terrapieno dell’Orto Botanico. Eppure, nonostante tanta sofferenza, via Foria è bella.
I Miracoli, La Sanità, ‘O Paradisiello
Non solo per il meraviglioso Eden di piante sconosciute, ma per i giardini meno appariscenti che occhieggiano dagli androni di palazzi altezzosi, a separare la strada alberata dal Borgo, per quei misteri che l’orografia della città svela al viaggiatore disposto a studiarla. Le note di musiche barocche, come fantasmi sonori, escono dai portoni per invadere gli spazi.
Quasi un ospitale omaggio a Roberto De Simone, che del boulevard napoletano è un estimatore. Bugnati di antica bellezza si fondono col contemporaneo e plebeo degrado. Pietre e bellezza, sofferenza e ineffabile eleganza condivise da Mario Martone, che ha fatto dell’Orto Botanico osservatorio per la protagonista de “L’amore molesto”, quasi a cercare il senso di una città dolente eppure desiderosa di vita.
Anch’io avevo scelto quell’Eden metropolitano come metafora di Partenope per il lungo racconto dal titolo “La lettera di Soterio”. Il nuovo secolo era appena iniziato. Altri attraversamenti, altri “compiti” ho svolto con la consapevolezza che la città è un testo da ripassare in continuazione, perché la narrazione della città è sempre inizio, mai fine.
Le città sono contenitori di storia. Ne custodisce la memoria l’Angelus Novus di Paul Klee. Le strade, le piazze, i vicoli, sono metafore di pietra, compiti da svolgere, pagine da studiare con cura. Via Foria è la speculazione edilizia, per i termitai di cemento che offendono altre bellezze, altri luoghi della storia a ridosso dei decumani.
È meraviglie di confini: I Miracoli, La Sanità, ‘O Paradisiello. Nomi che evocano aspettative ferite. Anche questo è via Foria per chi voglia ri/passarla. Con l’umiltà richiesta sempre da studi matti e disperatissimi.
*Lettera inviata a Repubblica