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Guerra di quartiere: Ecco come l’Arenella risponde al Vomero

Guerra di quartiere: Ecco come l’Arenella risponde al Vomero. La provocazione di uno scrittore che risponde al gruppo facebook  dedicato al quartiere collinare.

fonte: corriere del mezzogiorno

NAPOLI- Vomeresi e altri infami la pagina facebook che tra il serio e il faceto, prende in giro  la Napoli di sotto. L’Arenella  per motivi di confine sembra il quartiere che più di tutti deve pagare lo scotto alla menzionata pagina.

Alla guerra di quartiere risponde lo scrittore  Francesco Palmieri che dedica la sua visione proprio al gruppo Vomeresi e altri infami.

 L’Arenella risponde al Vomero

Noi settentrionali dell’Arenella, un tempo sovrastati solo da sparuti monaci dei Camaldoli, potremmo persino snobbare la provocazione dei vomeresi con la loro pagina Facebook gustosamente intercettata da Mirella Armiero.

Siamo abituati a guardarli dall’alto in basso per ragioni geografiche e per anzianità di storia, come dei parvenus sulla collina alcuni secoli dopo di noi. Se loro dicono giù napoli, noi nativi arenellesi diciamo sin da bambini anche giù al vomero, duplicando così le possibilità di scendere e il meridione che provvisoriamente sceglieremo.

Se voi, cugini vomeresi, siete collinari, noi lo siamo di più. Il muro «trumpiano»? I vomeresi non rivendichino questa come un’idea nuova, perché un muro, però di carta, già lo edificarono onesti storiografi. Fino a pochi anni fa ogni biografia fissava la nascita di Salvator Rosa nel 1615 ad «Arenella, Napoli», e la casa dove visse da bambino il genio della pittura rimase in piedi ancora nel secolo scorso vicino alla parrocchia di S. Maria del Soccorso. Qui una lapide inaugurata nel 1999 per celebrare il quarto centenario della chiesa elenca i parroci: il primo, Giacomo Francesco Conte, servì messa nel 1599.

Al Vomero, all’epoca, si coltivavano broccoli? La tendenza artistica di Salvator Rosa sfociò in versatili mani e si manifestò con penna, pennello, liuto e spada: fu forse questa natura melodiosa e malandrina che fece collocare all’Arenella il guappo armato di mandolino ma discreditato per infelicità amorosa nella «Serenata» di Bovio/Cannio: «Na vota ero ‘o cchiù guappo ‘e ll’Arenella:/ tenevo ‘nnammurate a mille a mille…/ e mo mme faje chiammà ‘Pulicenella’…».

Un vomerese qualunque potrebbe addurre, tra le concause della scelta, la rima fra il luogo e Pulcinella. Ma è obiezione che concederei solo a un Eduardo, il quale la brandì per demolire la poesia «Ora mistica» nella commedia «Ditegli sempre di sì».

Noi arenellesi potremmo ancora ricordare che quassù si consumarono davvero i più loschi regolamenti di conti, qualcuno lo raccontò Ferdinando Russo, ma l’aria lieve e il rigoglioso ambiente diedero pure ispirazione ai grandi della Scuola di Posillipo: Consalvo Carelli fu nativo di «Arenella, Napoli» e Giacinto Gigante vi ebbe la splendida dimora dove si rifugiò fino alla morte.

Va bene che i vomeresi vantino San Martino, ma perché non conoscono quale panorama si gode da vico Molo alle Due Porte, nel borgo nascosto che accolse Pietro Giannone quando scrisse l’«Istoria civile del Regno di Napoli».

È il borgo che ospitò e forse prese nome dal sommo scienziato e commediografo Giovanni Battista Della Porta.

Qui villeggiava guardando la Nobilissima Città nella prospettiva che ogni tanto si merita: dall’alto. Mi fermo per carità ai cugini vomeresi. Che ci ripensino sul muro, anche perché se insistono potrei ricordare in un prossimo articolo che «Jesce Sole», il celebre «Canto delle lavandaie del Vomero», nacque propriamente alle Due Porte all’Arenella dove quelle cosiddette «fate» allignavano.

È storia. Scesero solo poi, giùalvomero. Ma torniamo a quest’articolo qui, che sarebbe cattiveria chiudere domandando a quelli di giù perché a Totò la statua gliel’abbiamo fatta noi. Al Rione Alto.

Lo sapevi che fino alla fine dell’Ottocento al Vomero si saliva con i cavalli..