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Sergio Chesi: "Napoli da record. Ma senza Champions sono guai"…

Il Napoli torna nella Top 20 dei club con il fatturato più alto, stabilendo un nuovo record per il club.

Ma la crescita legata alla Champions rappresenta un’arma a doppio taglio.

Di: Sergio Chesi GoalIta

La notizia è una di quelle che a Castelvolturno e dintorni fanno camminare tutti a testa alta e a petto in fuori: il Napoli torna nella Top 20 mondiale dei club dal fatturato più alto dopo un anno di assenza. Gli azzurri si sono piazzati 16esimi nella Football Money League, graduatoria stilata con cadenza annuale da Deloitte e diventata una sorta di punto di riferimento in materia di calcio e finanza.

Si tratta della terza presenza per il Napoli, affacciatosi per la prima volta nell’elite del calcio europeo nell’edizione 2012 (riferita ai conti del 2010/11) con 114 milioni di ricavi, cresciuti fino a quota 148 l’anno successivo, grazie alla prima partecipazione in Champions. Dopo l’assenza di dodici mesi fa (con crollo del fatturato a 116 milioni) è stata nuovamente la qualificazione alla Champions a regalare nuova linfa alle casse partenopee.

Grazie alla fase a gironi 2012/13, il Napoli si è inserito al 16° posto nella Football Money League 2015, con un fatturato record (per il club) di 164.8 milioni e la piccola soddisfazione di mettersi alle spalle l’Inter.

Di grande interesse, naturalmente, i dettagli sulla provenienza dei ricavi. Gli incassi televisivi fanno la voce grossa, rappresentando il 65% della cifra totale con 107.1 milioni. Di questi, 40.2 sono arrivati dalle coppe europee: è il dato che fa la differenza rispetto alla stagione precedente e certifica l’importanza vitale della partecipazione alla Champions per una società come il Napoli.

Sì, perchè spenta la tv iniziano i problemi. La seconda fonte di introiti è rappresentata dal settore commerciale. Sponsor e merchandising, in sostanza. Con i suoi 36.8 milioni, il Napoli è lontanissimo dalle altre italiane in graduatoria (per non parlare delle potenze straniere…): si va dai 60.4 milioni dell’Inter ai 102.1 del Milan.

Questione di appeal e di forza del brand, aspetti su cui paradossalmente risulta più complicato incidere rispetto ai successi sportivi. Il Napoli è cresciuto anche in questo senso, ma partendo da lontano – 10 anni fa si sgomitava in Lega Pro, per dire – c’è un solo modo per farsi largo tra i giganti d’Europa: collocarsi stabilmente nel giro delle migliori formazioni europee. Ci risiamo, cara Champions. L’anno prossimo, dopo Bilbao, sarà dura riconfermarsi nella Top 20.

Il San Paolo rappresenta soltanto il 13% dei ricavi, con 20.9 milioni di incassi tra campionato e coppe. Un dato che nella prossima edizione della Football Money League – come d’altronde quello relativo ai proventi televisivi – crollerà sensibilmente, considerata la mancata qualificazione alla Champions e la media-spettatori più bassa che sta accompagnando, all’insegna dello scetticismo, Benitez e i suoi uomini in quest’annata altalenante.

Il problema vero, relativamente al fronte botteghino, è quello che riguarda un intero movimento: la mancanza di un impianto di proprietà. La Juventus, con uno Stadium persino più piccolo rispetto al San Paolo, ha prodotto il doppio dei ricavi portando a casa 41 milioni. E in virtù della futura cessione dei naming rights ad uno sponsor, il volume d’affari generato dallo stadio salirà ulteriormente incrementando anche gli introiti commerciali.

La sfida, per il Napoli, è quella di sempre: non far capolino tra i primi 20 club d’Europa, ma restarci. Continuando a lavorare bene in campo, ma soprattutto fuori. Perchè la Champions non può sfuggire, vero, ma non può rappresentare neanche la sola ancora a cui aggrapparsi. Non è così che si cresce. Il futuro va costruito in un altro modo. Costruito, sì. Come un nuovo stadio.

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