Siamo a Bagnoli, dal nome della fonte termale Balneolum, la porta della città verso i Campi Flegrei.
La sorgente antica, ricordata ancora nel XII secolo dal medico poeta Pietro da Eboli per le virtù curative quasi miracolose, viene ‘riscoperta’ per caso, insieme a numerose altre, nel corso di lavori di dissodamento a metà Ottocento (1865): il proprietario fortunato, Carmelo Patania, coglie l’occasione per dar vita allo stabilimento termale di Balneolo.
Nel 1888, ad opera del marchese Candido Giusso, proprietario terriero facoltoso, un intero quartiere residenziale ‘moderno’ cresce accanto al casale antico, grazie anche al completamento del primo tratto della ferrovia Cumana che collega al centro cittadino.
Quando, agli inizi del Novecento, il destino sentenzia la radicale cancellazione della vocazione originaria, Bagnoli è un piccolo borgo residenziale e di villeggiatura termale, immerso in una campagna luminosa e fertile, con piccole avvisaglie di attività industriali (nel 1853 Ernesto Lefevre impianta sulla spiaggia di Coroglio la prima industria chimica napoletana, a poca distanza dalle vetrerie di Melchiorre Bournique e di Vincenzo Damiani).
Come un fulmine a ciel sereno, nel 1904, la legge per il Risanamento industriale di Napoli concepita dall’interprete più attivo e generoso del meridionalismo di quella stagione, Francesco Saverio Nitti, individua la piana di Bagnoli come il luogo più idoneo per lo sviluppo di un’impresa siderurgica di respiro internazionale: la vicinanza al mare è un requisito essenziale per l’approvvigionamento dei materiali ferrosi…
Nasce, in pochi anni, l’Ilva (in seguito, Italsider), le villette di villeggiatura lasciano il terreno al quartiere operaio che diventerà per decenni il vessillo delle ambizioni industriali della metropoli che cambia e la roccaforte del movimento operaio organizzato. C’è voluto un secolo, come nei corsi e ricorsi storici di Vico, perché la sensibilità ai valori dell’ambiente e il buon senso riprendessero il sopravvento: la bonifica e i nuovi progetti di sviluppo in cantiere hanno ora la responsabilità e l’opportunità di ripartire dalle ricchezze formidabili che abbiamo rischiato di perdere per sempre.
In conseguenza dei piani di industrializzazione ad occidente, nel 1913, il Comune concede alla Società edilizia Laziale i terreni di Fuorigrotta, dando avvio alla costituzione di un ‘nuovo’ quartiere a tutto tondo – con il rione Duca D’Aosta (1914-1935) e il rione Miraglia (1930-1939) – che troverà assetto definitivo nel ventennio fascista, in concomitanza con il piano regolatore del 1939 messo a punto da tecnici di valore del calibro di Cenzato e Tocchetti: sono gli anni, prima e dopo la seconda guerra, della Mostra d’Oltremare, “testa di ponte” ideale e commerciale tra l’Italia e le colonie, dei nuovi tracciati urbani – viale Augusto, piazzale Tecchio, via Caravaggio – del Politecnico di Luigi Cosenza.
A pochi chilometri di distanza, a Pozzuoli, il sogno militante di Adriano Olivetti invitava, inascoltato, a cambiare rotta, a rispettare il paradiso naturale del contesto e investire tutto sul potere dell’ingegno.
La rinascita della sulle ceneri dell’Italsider, il recupero esemplare del Parco Virgiliano in collina e la riconversione del vecchio molo siderurgico in palcoscenico irresistibile del golfo incantato invitano, finalmente, a ben sperare e operare.