Pino Daniele e una Napoli che ho imparato profondamente ad amare
Darwin Pastorin, ex direttore di Stream Italia e noto giornalista, attraverso il suo blog su huffington post , ha voluto dedicare un suo pensiero alla scomparsa del nostro Pino Daniele. pensiero che abbiamo volutio evidenziare, perche’ non cade nella retorica populista a cui siamo abbituati in questi giorni, vi invitiamo a leggerlo.
In molti, sociologi filosofi apprendisti stregoni poeti ribelli o poeti sentimentali, stanno discutendo “intorno” all’amore, più o meno forte, più o meno struggente, di Pino Daniele per la sua Napoli. Una Napoli apparentemente matrigna (come la Natura per Leopardi, insomma). La città che il cantautore ha messo in parole e musica, dandole una nuova anima, un nuovo calore e un nuovo colore. Certo un paese ci vuole, ma anche per andarsene via, insegnò Cesare Pavese. Ma quando torniamo a casa riconosciamo ogni luogo, ogni ombra, ogni pietra. E il rancore ritorna a essere amore.
Su Napoli si continua a dire di tutto e di più, nel frastuono, ormai assordante, dei luoghi comuni, tra diffidenza e bellezza, miseria e nobiltà, l’amore più sfrenato o l’odio più travolgente: nessuna città italiana riesce a unire o a dividere come Napoli. Anche negli stadi, dove il coro becero di “Vesuvio pensaci tu” è d’obbligo, pure quando non gioca la formazione azzurra. Al Nord, penso al Piemonte c’è ancora chi, per definire, non certo benevolmente, i meridionali li chiama “napuli”. Perché Napoli rappresenta, per gli intolleranti del nord, il Male Assoluto.
Uno sfregio alla storia: il Nord è stato costruito dai meridionali, braccia e sudore. Penso a Torino e alla Fiat Mirafiori, e, permettetemi la divagazione, agli scudetti vinti con la mia Juventus dal catanese Pietro Anastasi, dal siciliano Beppe Furino, dal leccese Franco Causio e dal sardo Antonello Cuccureddu. Mio padre, veneto purosangue, tifava per il Napoli, in un famiglia divisa tra Juve, Toro e Chievo (la parte veronese di mia mamma): “Perché i napoletani mi ricordano i brasiliani. Sono stato dieci anni in Brasile e lo stadio San Paolo mi riporta al Maracanà: lì c’è la passione per il football”.
Ho cominciato a frequentare Napoli durante i giorni maradoniani. E furono anni di conoscenze, di furori: una città diventata, grazie alle prodezze di uno scugnizzo argentino, il centro dell’universo. Una città-mondo condannata alla sofferenza, ma mai piegata, mai rassegnata, capace di rinnovarsi, di essere anche crudele, ma soprattutto ospitale, generosa. Napoli non mi ha mai lasciato solo. Per questo torno sempre volentieri in quei luoghi: perché il mio cuore è sudista, perché mi emozionano quei suoni, quegli orizzonti, quei vicoli, quella scommessa quotidiana. Chiesi a Diego Armando Maradona, al suo primo giorno da napoletano: “Come farai a superare la nostalgia per Buenos Aires?”, mi rispose, con quel suo sorriso a girasole: “Mi basterà spalancare la finestra e guardare il mare di Napoli”. Pino Daniele è stata una voce forte, fortissima della profondità partenopea. I napoletani lo hanno amato e non lo dimenticheranno mai.