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Restyling San Paolo: I tifosi esultano, per gli urbanisti sarebbe meglio spostarlo.

Restyling San Paolo

Tra accordi e disaccordi, pacche sulle spalle e attacchi frontali, sono passati tre anni e mezzo di guerra e pace.

Al netto di progetti fatti e disfatti mille volte sulle pagine dei giornali, lo stadio San Paolo è ancora quel catino decrepito che non piace a nessuno.

Eppure nel settembre del 2011 De Laurentiis indicava la strada con il piglio sicuro che lo contraddistingue: «C’è bisogno di un grosso restyling, ci vorranno dai 4 ai 7 anni per realizzarlo ». Tre mesi prima, a poche ore dalla sua elezione, de Magistris aveva annunciato: «Il Napoli calcio è ormai l’unica vera ideologia rimasta in questa città. Parlerò col presidente De Laurentiis nell’interesse dei napoletani. Lavoreremo affinché il San Paolo offra il massimo di potenzialità e agibilità. Anche se io credo che Napoli meriti uno stadio nuovo che contenga il doppio degli spettatori».Era solo l’inizio di una lunga storia. Negli anni a venire sono seguiti un numero imprecisato di capitoli, con due protagonisti assoluti a dominare la scena: il sindaco e il patron. Ora, dopo un braccio di ferro che sembrava non dovesse aver fine, il dado finalmente è tratto. O almeno, così pare. Che lo si chiami revamping o restyling, De Laurentiis ha indicato la strada.

«Il Napoli deve giocare al San Paolo, a costo di chiudere una curva per volta comesi è fatto altrove. Ponticelli, Caserta, Palermo, mi sono sempresembrate più provocazioni che ipotesi reali», osserva Gino Rivieccio, che ha affidato al suo “Aurelio de Magistris” una sintesi dei due contendenti di questa partita. Nonostante l’intesa, l’attore spiana sul tavolo i dubbi: «Abbiamo uno stadio che cade a pezzi, va ristrutturato radicalmente. D’altraparte, dei lavori importanti darebbero lavoro a tanti napoletani. Però mi domando: chi li caccia i soldi? IlComune, che non ha manco quelli per aggiustare le tante buche delle strade? Quantoci vorrà pert rovarli? E dove si troveranno quelli per la manutenzione straordinaria? ». Interrogativi che secondo Rivieccio hanno una sola risposta: «Serve l’intervento dei privati. Soltanto così si potranno ultimare in tempi rapidi quei lavori che potranno trasformare il San Paolo in una struttura moderna, degna di unacittà europea. Uno stadio da Champions».

ClaudioBotti, avvocato e fondatore del Te Diegum, era in curva B nel giorno in cui lo stadio fu inaugurato. Sarà per questo che oggi dribbla le perplessità per abbandonarsi ad senza riserve
alla soddisfazione: «Ci sono entrato la prima volta da bambino e da allora l’ho sempre frequentato – ricorda -. Finalmente De Laurentiis ha ragionato come un tifoso, gliene dobbiamo essere
grati. Sul piano del business gli sarebbe convenuto utilizzare la legge per i nuovi impianto, ma il San Paolo per la città è un luogo di memoria, di passione. Lui ne ha preso atto e ha capito che
è giusto recuperarlo e valorizzarlo.

NicolaPagliara,architetto e urbanista, lo stadio dentro le mura cittadine è una bestemmia. «I napoletani lo vogliono lì, dal punto di vista dei tifosi la questione è risolta. Ma uno stadio in quel posto non può stare: intasa il quartiere, la città non lo sopporta. Per non parlare dell’estetica: quella montagna di ferraglia è un disastro. Il San Paolo è senza dubbio il più brutto stadio d’Italia, e in ogni caso suggerisce il docente andrebb espostato in una posizione baricentrica tra Napoli e Caserta. Nei pressi di Varcaturo, per esempio, dove ci sono grandi campagne per realizzare anche un centro polisportivo».

Mario Schiano, imprenditore delle biciclette che con Edenlandia ha sceltodi investire proprio a Fuorigrotta, ha un’altra idea: «Il concetto moderno di stadio prevede la creazione di
un villaggio del tempo libero che possa accogliere le persone per gran parte della giornata, argomenta. Se lo si lascia dov’è, il San Paolo,dove per altro non sono mai stati aperti i parcheggi sotterranei realizzati nel ’90, non si può ampliare. Invece, l’area dell’ex base Nato sarebbe perfetta per un progetto simile». Da imprenditore, Schiano ragiona anche sulle difficoltà legate al territorio: «Per chi vuole o deve investire qui ci sono due grossi ostacoli rispetto al Nord Italia. Il primo è l’eccessivo individualismo che rende difficile la cooperazione; l’altro è una generale e diffusa approssimazione ».

IL MATTINO