Ottavio Bianchi, l’uomo del primo scudetto del Napoli: «Vinto con Maradona, ma anche con il collettivo»

Una voce pacata e gentile, quella di Ottavio Bianchi, che oggi vive a Bergamo Alta, lontano dai riflettori del calcio. Non c’è un pallone nella sua casa, né targhe né maglie. Come ha raccontato in una lunga intervista concessa a la Gazzetta dello Sport, Bianchi ha lasciato il mondo del pallone «dalla sera alla mattina», mantenendo però intatti i ricordi di una carriera da allenatore e calciatore straordinaria.
«Napoli? Una lezione di vita»
L’ex allenatore del primo scudetto del Napoli racconta di aver trovato nel capoluogo campano la sua vera lezione di vita: «Sono nato a Brescia, ma Napoli mi ha insegnato tanto. Sono stati 13 anni bellissimi, tra campo e panchina. I napoletani mi hanno accettato per quello che ero, non hanno cercato di cambiarmi».
E sullo storico tricolore del 1987, vinto insieme a Maradona, Bagni, Ferrara e tanti altri, Bianchi ci tiene a ribadire: «Quello scudetto non è solo di Diego. L’abbiamo vinto insieme, con il collettivo e l’organizzazione di gioco. Maradona era una leggenda, ma anche un ragazzo gentile, con tanta voglia di lavorare. Restava sul campo per ore, a provare le punizioni. Chi diceva che non si allenava non lo conosceva».
La carriera da calciatore e allenatore
Dagli inizi al Brescia a 17 anni fino alle esperienze con Atalanta, Milan, Cagliari e Spal, dove iniziò ad allenare, Bianchi ha conosciuto il calcio vero. «Amavo questo sport. Non avevo un piano B. Mio padre voleva diventassi ragioniere, ma io sognavo solo di fare il calciatore».
Ha giocato con campioni come Sivori, Rivera, Riva. «Sivori era geniale, con occhi anche dietro la testa. Rivera? Il miglior uomo-assist che abbia mai visto, elegante e decisivo. Riva era un campione d’umiltà, un imperatore, come Zoff».
Come allenatore ha guidato anche Roma, Inter e Fiorentina, ma è nelle piazze di provincia che ha lasciato il segno più profondo: «Ad Avellino, Como, Atalanta ho ottenuto grandi soddisfazioni. Lanciato tanti giocatori come Donadoni, Fusi, De Napoli. Ho sempre dato tutto me stesso».
Un calcio diverso, fatto di valori
«Allora c’era l’odore di canfora negli spogliatoi. Oggi sento troppi “io, io, io” e pochi “noi”», ha spiegato l’ex tecnico, che rimpiange la perdita di lealtà, rispetto dei ruoli e sincerità nel calcio moderno.
A 81 anni, Bianchi si dice sereno, nonostante il dolore per la perdita della moglie: «Guardo il calcio con distacco, ho due figli splendidi e qualche hobby. Ma non tornerei indietro. Le mie armi erano quelle delle persone normali».