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Napoli, Zambardino: “Altro che infortuni il vero problema è un altro! Vi racconto tutto”

Vittorio Zambardino giornalista del Corriere del Mezzogiorno spiega le reali motivazioni che si nascondono dietro al calo del Napoli.

Vittorio Zambardino, sulle pagine del corriere del Mezzogiorno ha pubblicato un focus sul calo del Napoli nella fase più importante della stagione. Ne emerge un dato molto particolare.

Luciano Moggi,  da almeno dieci anni sottolinea che al Napoli manca mentalità vincente. Quando lo disse la prima volta c’era stato un qualche ennesimo pareggio casalingo di coppa europea. Il concetto in questi giorni è invece di dominio comune, non c’è bar che non lo abbia sdoganato e sui social commentatori autorevolissimi da 100 follower ci dicono che il Napoli non ha le palle, versione pop della mentalità.

Per la verità a richiamare il problema in modo soffice (perché «Il calcio è menzogna») sono stati anche Rafa Benitez e Carlo Ancelotti. Maurizio Sarri enfatizzava il tema a modo suo, come il  sergente Hartman di Full Metal Jacket, ma poi è sullo scoglio della mentalità che ebbe fine il suo e nostro sogno.

Già, ma chi è che dovrebbe «costruire» la mentalità? E come?  Dopo quattro allenatori di nome abbiamo la prova empirica che la panchina da sola non può farcela. Sorge il dubbio che la mentalità sia una «pratica» quotidiana, più che un concetto teorico, e che quindi il deficit societario sia effettivamente quello che conta. Corrado Ferlaino, che ingaggiò prima Italo Allodi e poi il citato Moggi nell’anno del «buttati a terra» e delle notti magiche, conosceva senz’altro l’aspetto politico del tema: ma non può essere tutto qui”.

Zambardino aggiunge: “Si tratta senz’altro di una pratica di pressione sui cervelli: guardate i giocatori che vanno alla Juventus, subito si esprimono in lingua «juventese», dove vincere è l’unica cosa che conta. Tutti concetti quasi ridicoli per noi, ma loro fanno un salto, perché quello è un ambiente competitivo, dove o funzioni o scompari. E più nella quotidianità guardiamo ai tanti avversari che trattano gli arbitri secondo un «massaggio» psicofisico, di argomenti e contatto fisico, di insulti e minacce. Le scene di Mou.

Ma anche certi atteggiamenti astuti di Inter e Juve, che puntano al desiderio di carriera degli arbitri, cui non fa piacere il fragore mediatico. Spalletti ha denunciato questo atteggiamento nel dopo partita, ma chi ascolta Spalletti oggi? Poi, forse, è anche questione di modernità. Per me Spalletti è un grande, Benitez era un messia e Ancelotti il più grande di tutti. Ma al Napoli non si è mai visto un lavoro serio di programmazione psicologica: non di psicoanalisti, ma di gente che lavori sulla motivazione e sul controllo dell’ansia.

Non basta evitare gli infortuni muscolari, ci sono anche quelli emotivi e le tensioni: molta della fortuna di Mourinho risiede nella capacità di gestire questi aspetti. Un po’ di scienza non guasterebbe. Di fatto la mentalità appartiene alla cultura della competizione estrema, che Napoli non ama sul piano culturale. In squadra ci sono stati a lungo gli intoccabili.

Ci vorrebbe la gelida freddezza di un Arrigo Sacchi. Quella sportiva è una professionalità antipatica, senza amicizia, che non flette mai, che non ammette «vuòmmechi», mozzarelle e amicizie ai baretti. Non dico una roba da «uomini veri» , ma dico da «atleti veri». Andate a chiedere che tipo di vita conduceva Pietro Mennea”.