Il San Carlo è il teatro più bello del mondo parola di Riccardo Muti che rivela un retroscena: “mia madre mi ha fatto nascere a Napoli perchè fossi rispettato in tutto il mondo”.
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- Riccardo Muti è nato a Napoli nel 1941
- Il teatro San Carlo voluto da Carlo di Borbone fu inaugurato il 4 novembre 1737
- Il 25 novembre al Teatro San Carlo inaugurazione della nuova stagione con Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart. Dirige Riccardo Muti.
Riccardo Muti, il più grande direttore d’orchestra del mondo, torna a Napoli e al San Carlo. Muti il 25 novembre dirigerà nel teatro più bello del mondo Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, la regia dell’opera è affidata alla figlia Chiara. Muti ha parlato della sua infanzia divisa tra Napoli e la Puglia e ha rivelato un bellissimo retroscena sulla mamma e la volontà di farlo nascere a Napoli.
«Sono nato a Chiaia, in via Cavallerizza 14. Mamma era napoletanissima, dolce e severa come mia figlia Chiara».
IL SAN CARLO È IL TEATRO PIÙ BELLO DEL MONDO
«L’orchestra sta lavorando benissimo, l’ho trovata molto migliorata, ringiovanita, anche il piccolo coro impegnato è eccellente. È un teatro modernizzato, più internazionalizzato nell’attitudine, nel modo di porsi, nella disciplina.
E poi, l’ho sempre detto: “il San Carlo è il teatro più bello del mondo“. Mi auguro che questo processo positivo possa continuare in futuro, sperando che il governo attuale ponga attenzione alla cultura, al Sud e al San Carlo. Lo dico mentre leggo che nella classifica della vivibilità Napoli è al 108 posto, il che non mi fa piacere».
IL RITORNO A NAPOLI: LA TROVA CAMBIATA?
«Dalla finestra della mia stanza vedo tanti giovani fare jogging, è una città più moderna, anche il turismo mi sembra cresciuto. C’è una maggiore vitalità. La bellezza c’è, bisogna saperla trovare, sul meticciato culturale di Federico II che istituì l’università di Napoli e fondò Altamura con l’idea di far convivere arabi, cristiani e ebrei».
In questi giorni di prove, per raggiungere il teatro, passa obbligatoriamente da via Giorgio Arcoleo: lì dopo quindici anni trascorsi a Molfetta, tornò a vivere con i suoi fratelli e i suoi genitori. Poi andò a studiare composizione e direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano, e nel ’69 si sposò con Cristina. Ma prima, per cinque anni, fino al ’62, ha vissuto a Napoli, dov’è nato nel 1941 per volere di mamma Gilda, durante la guerra. Nato e poi subito trasferitosi in Puglia, a Molfetta, la città di suo padre, Domenico, che era medico.
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MIA MADRE MI FECE NASCERE A NAPOLI PER UN SOLO MOTIVO
«Quando chiesi lumi a mia madre sull’idea del parto a Napoli con ritorno in Puglia mi rispose: “Un giorno magari tu e i tuoi fratelli Mario e Roberto (poi ci sono i due gemelli più giovani, ndr) vi troverete a girare il mondo, e se vi chiederanno dove siete nati, se risponderete Napoli subito vi rispetteranno”. Mia madre ci fece nascere lì per orgoglio».
Com’erano le sue giornate a Napoli?
«Era una vita semplice, dedicata allo studio. In fondo era la continuazione della vita di Molfetta, una piccola città certo, che però ha dato i natali a Gaetano Salvemini e all’abate Vito Fornari, teologo e filosofo. Napoli, storicamente parlando, è la grande capitale di un Regno. Al mattino andavo al liceo Vittorio Emanuele, nel pomeriggio a San Pietro a Majella».
È il Conservatorio che custodisce l’oro di Napoli, oltre ai manoscritti, c’è gran parte di Pergolesi, Paisiello, Cimarosa, Piccinni, Traetta, Jommelli. La scuola napoletana che si riverbera su Mozart e si proietta su Bellini, Rossini, Donizetti e quindi Verdi.
«Al Conservatorio vivevamo come francescani, è un luogo straordinario che fa parte del monastero, quando scoppiavano i temporali le palme ondeggiavano e i lampi illuminavano il busto severo di Beethoven».
Al liceo Vittorio Emanuele II, nell’atrio, c’è una targa in pietra con gli studenti illustri nel tempo: Mercalli (lo scienziato italiano diede il nome alla Scala Mercalli che valuta l’intensità di un terremoto), il medico-santo Giuseppe Moscati, definito il medico dei poveri, il poeta Salvatore Di Giacomo.
«L’ultimo della serie sono io, hanno scritto l’iniziale del mio nome puntata e poi il cognome. Ci sono passato di recente, il portiere mi ha detto: Vi tengo innanzi agli occhi ogni giorno».
Maturità classica nel 1959. Lei da studente com’era?
«Bravo nelle materie umanistiche, una frana in matematica. Ho imparato il latino bene. Il Sud aveva questi insegnanti legati a un mondo greco-romano. Mi piaceva fare gli scherzi, non ero musone e nemmeno secchione. Non era una vita di svaghi e divertimento. Mia madre amava cucinare. Piatti napoletanissimi, il più delle volte a base di pomodori e basilico, oppure la parmigiana di melanzane che, per dirla alla Eduardo, come la faceva mamma non l’ho più mangiata».
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Via Arcoleo è vicino alla Villa comunale.
«Vi sono centinaia di statue. La prima, venendo da Mergellina, è di un signore all’impiedi con accanto lo sgabello del pianoforte: è Sigmund Thalberg, austriaco di nascita, diede lustro alla scuola pianistica napoletana da cui sono usciti Cesi, Martucci e Vitale, con il quale mi diplomai nel 1961».
Maestro, rivedere in questi giorni ogni volta via Arcoleo…
«Mi fa molta impressione. Lì è nata la mia storia».