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Osimhen si confessa: dalla Victor-dance, l’infortunio e la voglia di vincere

Victor Osimhen è tornato, anche al gol. Il centravanti nigeriano ha segnato col Venezia dopo più di 100 giorni di astinenza. Osimhen a Repubblica rilascia una lunga intervista in cui parla della sua vita, del Napoli e del terribile infortunio da cui si è ripreso. Un infortunio che lo ha tenuto fuori a lungo ma a cui ha saputo reagire con grande forza.

𝐕𝐢𝐜𝐭𝐨𝐫, 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 è 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐫𝐚𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐚 𝐩𝐮𝐠𝐢𝐥𝐞.

Infatti ho sentito subito che la faccia mi era esplosa. E appena mi sono toccato sulla guancia sinistra non avevo più sensibilità. Ho avuto problemi anche a dormire, se mi giravo sul quel lato, faceva male. Però ho recuperato le forze, trascinato dalla voglia di giocare e di migliorare proprio sui colpi di testa. Non sono tipo da frenare la mia esuberanza, mai fatto calcoli, anzi ho sempre cercato di rimettermi in piedi subito, senza piangermi addosso. Io salto, scarto, scatto. Non ho paura di farmi male, e se perdo mi arrabbio. Sono molto suscettibile su questo, non mi arrendo“.

𝐈𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐧𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐃𝐢𝐨 è 𝐛𝐮𝐨𝐧𝐨.

Sì, vengo da Lagos, Nigeria, ma sono originario di Osun, stato del sud, dove convivono cristiani come me e musulmani. Ho perso mia madre subito, io sono l’ultimo figlio, ho tre sorelle e fratelli. Papà non trovava lavoro, così ci siamo spostati nella capitale: una sorella vendeva arance, un fratello giornali, io pulivo grondaie e tagliavo erba. Tutto, pur di sopravvivere. Mio fratello più grande, Andrew, ha rinunciato a studiare, per mantenere me appena sono entrato nella scuola calcio. Devo riconoscenza a lui e alla mia famiglia. Le radici sono importanti“.

Osimhen intervista a Repubblica

𝐒𝐢 è 𝐦𝐚𝐢 𝐜𝐫𝐨𝐧𝐨𝐦𝐞𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐢 𝟏𝟎𝟎 𝐦𝐞𝐭𝐫𝐢?

No. Però correvo, da ragazzino facevo gare per strada. La Nigeria è una terra di velocisti. Spesso arrivavo secondo, qualche volta primo. Ma la passione era per il pallone. Il primo Mondiale che ho visto in tv è stato quello in Sudafrica nel 2010, tifavo Olanda, per via di Sneijder, per cui andavo matto. Mi piaceva la sua concretezza, sapeva sempre cosa fare, e ci sono rimasto male quando in finale ha vinto la Spagna“.

𝐏𝐞𝐫ò 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐦𝐢𝐭𝐨 è 𝐃𝐫𝐨𝐠𝐛𝐚.

Sì, ma non solo come calciatore. Mi piacciono i trascinatori. E lui lo è e lo è stato anche fuori dal campo, dove conta di più. È il tipo di personalità che ammiro“.

𝐋𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐢ù 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐢𝐜𝐢𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐧 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐚𝐟𝐫𝐢𝐜𝐚𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐚 𝐢𝐧 𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚?

Per me è stato il freddo. Sono andato al Wolfsburg e giocavo su campi spesso ghiacciati. Soffrivo, avevo le dita dei piedi rattrappiti, non riuscivo ad esprimermi. Mi ha molto aiutato con i suoi consigli Mario Gomez. Poi mi sono operato alla spalla, le cose non andavano. Ho fatto dei provini in Belgio, sono stato respinto, anche perché avevo preso la malaria. Poi Charleroi, un anno, e Lille. Se ho mai dubitato di potercela fare? No, non mi sono nemmeno mai posto la domanda, che continua a sembrarmi un lusso. Sentivo obblighi e responsabilità verso la mia famiglia. E a proposito dell’infanzia difficile, basta“.

Osimhen tornato al gol col Venezia. Sei reti in campionato per il nigeriano.

𝐕𝐚 𝐛𝐞𝐧𝐞, 𝐛𝐚𝐬𝐭𝐚.

Non ne posso più. L’ho già detto mille volte. Lo sanno tutti che appena vedo bambini vendere acqua ai semafori non provo né antipatia né insofferenza. Non potrei. Ma basta raccontare i giocatori africani solo come vittime, come storie tristi. Siamo bravi calciatori, io voglio migliorarmi, in attacco e difesa, imparare ad aiutare la squadra in ogni parte del campo. Sono stato un bambino povero? Sì, ma ora sono qualcosa di più. Altrimenti mi inchiodate a un passato che non rinnego, ma che non tiene conto di come sono andato avanti. Tengo alla qualità, alla tecnica, voglio diventare più bravo“.

Osimhen e la Serie A

𝐃𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐆𝐚𝐭𝐭𝐮𝐬𝐨 𝐞 𝐒𝐩𝐚𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢?

Mi hanno aiutato tutti e due, posso e devo solo ringraziarli“.

𝐀𝐭𝐭𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐨?

Immobile. Lo trovo straordinario. E lo ammiro. Sbuca sempre tra le difese, non si sa come ha il pallone tra i piedi, è sempre lì al momento giusto, magari non lo vedi, eppure eccolo improvvisamente tirare in porta. Fa sembrare tutto facile, soprattutto il gol. Un vero pirata“.

𝐈𝐥 𝐝𝐢𝐟𝐞𝐧𝐬𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐢ù 𝐨𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨?

Romero, ora al Tottenham. Ogni volta che mi ha marcato è stato più veloce di me, abile anche nell’anticiparmi. E Koulibaly in allenamento, che non mi fa mai segnare. Quando è stata eliminata la mia Nigeria, ho tifato Senegal“.

𝐒𝐨𝐥𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨?

No. Ogni volta che si può fare del bene con lui non c’è bisogno di insistere. Al Napoli ho trovato compagni molto solidali. Quando c’è da fare una raccolta fondi o trovare dei soldi per un’iniziativa lui mi dice: dimmi, chiedimi, cosa posso fare? Non è il solo, anche Fabian Ruiz e Mertens sono sempre disponibili“.

𝐀 𝐍𝐚𝐩𝐨𝐥𝐢 𝐥𝐞𝐢 𝐚𝐛𝐢𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨.

Sì. A Posillipo, al piano terra. E anche se posso passare per ingenuo non mi immaginavo una città così calda e pazza per il calcio. Solo ora mi rendo conto di come possa essere stato difficile per Maradona trovare un po’ di intimità e sopportare la pressione“.

𝐂𝐡𝐢 𝐥’𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚?

Ho una fidanzata. E devo anche ad una donna questa mia capigliatura. Ero a Charleroi e non sapevo che lì i barbieri chiudono presto. Così ho iniziato a tagliarmeli da solo, ma ogni rasoiata in più non ha fatto che peggiorare la situazione, allora la mia fidanzata mi ha detto: te li coloro e ci penso io. Quello che è uscito fuori mi è piaciuto“.

𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐈𝐧𝐬𝐢𝐠𝐧𝐞?

Ne penso bene. È un uomo con una famiglia, avrà valutato, ragionato e scelto quello che è meglio per lui. Sono in una situazione diversa, ma non sono di quelli che dicono: io mai come lui“.

𝐋𝐞𝐢 𝐬𝐞𝐠𝐮𝐞 𝐢 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐞𝐫 𝐧𝐢𝐠𝐞𝐫𝐢𝐚𝐧𝐢.

Ascolto Olamide e il giovane Lil-whisky. Mi danno la carica, ma non dopo la partita, quando ho bisogno di rilassarmi ascolto musica dance o soul. Io però non canto bene, ma giuro che se succede una certa cosa m’invento un nuovo ballo in campo. Una Victor-victory dance“.

𝐄𝐜𝐜𝐨, 𝐚𝐩𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨, 𝐜𝐢 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚?

Mi piacerebbe vincere insieme: Napoli, il Napoli e io. Condividere un viaggio. Ma per lo scudetto devo essere molto di più di un individual player. Allora sì che mi darebbe proprio soddisfazione e trovo che per la città sarebbe strepitoso. Il calcio di Serie A lo trovo competitivo, ogni domenica c’è una squadra che può sbatterti fuori. Mi criticano perché sono permaloso, perché non lascio correre, né un’occasione né un commento, ma io sono felice solo se do il mio meglio, il calcio è il 97% della mia vita, e se qualche volta sui social eccedo, lo faccio solo perché cerco leggerezza. Sono un ragazzo di 23 anni, avrò pur diritto a non essere profondo“.

𝐈𝐥 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐧𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐥𝐨 è.

Ho sentito gli insulti. Gente che dice quelle cose non merita di entrare in uno stadio. Ha ragione Thuram, i primi ad uscire dovrebbero essere i giocatori bianchi, perché consapevoli di un’ingiustizia. Ma nello stadio ci sono anche quelli che ti applaudono, che si scusano per gli altri. E a loro dico grazie perché almeno non fanno giocare l’indifferenza“.