L’Italia non parteciperà ai mondiali la causa è da ricercare all’interno del modello serie A, ma Insigne sembra diventato il capro espiatorio del fallimento.
NON È COLPA DI INSIGNE
L’eliminazione dell’Itala dai mondiali in Qatar era prevedibile, ma i soliti soloni hanno fatto crede che era tutto fatto, anzi per qualcuno Mancini era già in Qatar a scegliere l’albergo.
La cosa che fa davvero ridere e piangere allo stesso tempo è attribuire la colpa del fallimento dell’Italia a Lorenzo Insigne. Il capitano del Napoli all’indomani della vittoria dell’Europeo era diventato eroe locale, in Italia ovviamente si magnificavano i giocatori juventini.
Il senso d’ingratitudine verso il fantasista di Frattamaggiore è qualcosa che supera il concetto stesso di squallore. Insigne paga dazio perché ha deciso di andare in Canada? Saranno anche cazzi suoi?
Poteva partire a gennaio ma ha deciso di restare a Napoli e di dare il massimo ed è quello che sta facendo. Qui da noi, diciamocelo, manca la protezione verso i nostri figli, siamo sempre pronti ad ospitare il solone nordista di turno, che viene nei nostri salottini tv ad insegnarci il mestiere, gli stessi in altre sedi e ad altre latitudini sistematicamente dicono il contrario di quanto affermato in casa nostra. Insigne come gli altri figli del sud vanno protetti non condannati. Certa gente dovrebbe fare i famosi “5 minuti di scuorno”.
IL FALLIMENTO DELL’ITALIA
Sto leggendo molti commenti sul fallimento dell’Italia. Commenti di gente quotata dai media. In tutti i commenti però manca sempre l’onesta intellettuale di dire la verità. Tutti dicono la stessa cosa ma nessuno punta realmente il dito.
Diciamo la verità, l’Italia non vince dal 2006, dal post calciopoli cosa è successo dopo lo sanno tutti. Da anni in Italia vince sempre la stessa squadra, e la stessa in Europa fallisce, da anni il sistema arbitri è fallito, è fallito il Var. Da anni su quelle maledette poltrone siede sempre la stessa gente, tutti si girano dall’altra parte.
La serie A non attira campioni, non attira sponsor, non attira investitori, solo speculatori alla caccia di squadre in fallimento. Il nostro campionato è ridotto ad un cumulo di macerie, solo la passione dei tifosi lo tiene ancora a galla. La serie A è lo specchio dell’Italia, un paese sull’orlo del fallimento.
Tutte le analisti dei grandi professori del calcio sono inconcludenti, ma insomma guardiamo in faccia la realtà il problema non è Insigne che se ne va in Canada il problema è che si sono mangiati tutto. Eravamo il miglior campionato del mondo ora siamo tra gli ultimi, e questa gente continua a magnificare il proprio lavoro. Siamo tutti “Cecati?”. Squadre con centinaia di milioni di euro di debiti che continuano a campare e aziende con pochi milioni di debiti costrette a chiudere, famiglie che perdono il lavoro e Amen.
LE VERITÀ
Se consideriamo che la Nazionale azzurra non gioca una partita a eliminazione diretta in un Mondiale dal 2006 e che i nostri club non alzano una coppa europea dal 2010, ci accorgiamo di essere progressivamente usciti dall’élite del calcio internazionale. Siamo nella periferia, nella zona d’ombra, fuori dal tanto decantato “calcio che conta”. Una crisi lunga, datata, prolungata, che viene periodicamente trattata e analizzata, senza però trovare rimedi validi a porvi fine.
Non produciamo più fuoriclasse, la qualità della nostra Serie A si è abbassata nel tempo, fatichiamo a dare spazio e continuità a giovani di livello. Se a questo aggiungi che dopo appena due gol, magari fortunosi, i media ti candidano alla Nazionale maggiore, che i miei colleghi soffiano sul fuoco invece dì portare equilibrio e che i social con il loro carico dì brave ragazze che cercano marito… vabbeh, se aggiungi tutti questi elementi ti ritrovi con Ibra che gioca a 40 anni, con Quagliarella, Pandev, Chiellini titolari e senza ricambi a incalzarli.
“Da anni mi domando: chi si sveglia al mattino sentendo il peso della responsabilità dì un movimento in cui non nasce un campione vero da più dì 30 anni“?
DRAMMA DEI PROCURATORI, COSTI FOLLI PER GIOCATORI MEDIOCRI DALL’ESTERO
Il discorso precedente, ovviamente, è anche di mera natura economica. Un italiano con una mezza stagione discreta vede schizzare subito la sua valutazione alle stelle. Il Sassuolo chiede oltre 30 milioni per Scamacca o Raspadori, Lucca con il Pisa in B era valutato tra i 10 e 15 dopo mezzo campionato (e dopo essere stato accostato al Milan non ha più trovato il gol da novembre). E così, spesso sbagliando, troppi club si affidano a procuratori, che portano dall’estero giocatori di medio livello, che non alzano la qualità.
A volte viene strapagato il cartellino (17 milioni Muriqi dalla Lazio, ad esempio), a volte lo stipendio è altissimo (si vedano parametri zero come Rabiot, che incassa 7 milioni a stagione senza mai fare la differenza, se non in negativo). Investimenti discutibili che non fanno altro che affollare la nostra Serie A di “pesi morti”, togliendo spazio a “scommesse” o tentativi con i giovani provenienti dagli snobbati e poco considerati settori giovanili.