Le Interviste

Higuain idolo o traditore? Beccantini: Ecco come stanno realmente le cose

Higuain idolo o traditore di Napoli? Roberto Beccantini risponde alla domanda citando Sarri e il trasferimento alla Juventus.

Lo storico giornalista sportivo italiano Roberto Beccantini commenta l’addio al calcio di Higuain, sviscerando per bene la sua carriera passando dal “tradimento” a Napoli, allo scudetto con la Juventus.

La carriera è una somma di attimi. Gonzalo Higuain lo sa bene. Gliene sono mancati pochi, per essere un fuoriclasse. Ne ha sfruttati abbastanza per finire tra i ricordi dei grandi: o comunque, fra i grandi ricordi. Si era «ricoverato» nella clinica del campionato nordamericano, presso l’Inter di Mi-ami. Il 10 dicembre ne compirà 35. Ha deciso: lascia. Francese per caso (nacque a Brest), argentino per scelta, bisnonno basco, mamma pittrice di origini palestinesi (la cui scomparsa molto lo toccò).

Un piccolo mondo né antico né moderno, centravanti di mestiere, fra River Plate, Real Madrid (voluto da Capello & Baldini), Napoli, Juventus, Milan (toccata e fuga), ancora Juventus, Chelsea. E la seleccion, naturalmente. Gli almanacchi parlano di 333 gol in 707 partite, e di sei «scudetti» fra Madrid e Madama. Se vi sembran pochi, peggio per voi”.

 

HIGUAIN , IDOLO O TRADITORE DI NAPOLI?

Beccantini ha poi proseguito: “Di carrozzeria robusta, tanto che ci piaceva scrivere «dalla gavetta alla pancetta», il Pipita è stato un «nove» vero, con tendenze al «dieci» di ricamo, dal momento che la scuola rioplatense, quella che sfornò «La maquina», ha sempre coltivato il gesto e sopportato l’atto, mai viceversa. Di tecnica raffinata e acrobatica, destro o sinistro, il fiuto come bussola e il tiro, secco, come lampo, il meglio di sé lo ha dato con Sarri a Napoli, quando arrivò a segnare 36 gol in una stagione.

Servito, diventava implacabile. Servizievole, non trovava sempre la forza di ribellarsi al destino. Ha giocato con Messi (in Nazionale) e con Cristiano Ronaldo, e se non è mai riuscito a strapparci l’enfasi che avremmo pagato per dedicargli, servili come siamo, si deve all’emotività del carattere. Scrivevo di attimi, all’inizio. Ce ne sono alcuni che collegano la cronaca alla storia. A Gonzalo successe il 13 luglio 2014, al Maracanà di Rio. Finale mondiale, Argentina-Germania. Sullo 0-0 si ritrovò a tu per tu con Neuer e lo graziò. Chissà come sarebbe andata se. Sappiamo come finì senza se: 0-1, gol di Goetze, una riserva, su cross di Schurrle, un’altra riserva, nei supplementari”.

Infine conclude: “Ecco. Pure nelle «belle» di coppa America e di Champions, tre in totale, tutte perse – in volata o per distacco – i nervi lo hanno disarmato prima ancora degli avversari. Per tacere di certi rigori e di certi rossi, figli di un’emotività che lo schiacciava.

Difficile, nel calcio, liberarsi delle catene del tifo. Per Napoli fu idolo e poi traditore; per la Torino juventina, 90 milioni di clausola e l’ennesimo «hai visto mai» in chiave Champions. Per il Milan e il Chelsea, albe nebbiose. Penso che Higuain non sia stato tutto ma molto. Un compromesso storico fra corazze, costumi e stili. Con quel cuore lì, ora tiranno ora schiavo, che gli ha sbattuto la porta in faccia proprio sul più bello. E sul più grande”.

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