Su De Laurentiis gira una grossa bugia, Rosario Dello Iacovo smonta alcuni luoghi comuni, sul calcio, la napoletanità e la pizza.
De Laurentiis, il Napoli, la pizza, sono questi i temi che ci hanno tenuti incollati questa settimana agli schermi degli smartphone e dei pc. Il giornalista Rosario Dello Iacovo, sulla nota pagina il Napulegno ha commentato con il solito acume la situazione:
“Faccio una premessa doverosa, della questione pizza sollevata da Briatore hanno parlato RobertNesta sulla Napoli bene e Maurizio Zaccone. Due fratelli, con i quali non mi metterei certo a polemizzare con i post su facebook, soprattutto se non c’è nessun motivo per polemizzare perché so che la loro difesa della città non si limita al folclore, ma è seria, ragionata e passionale.
Detto questo, negli ultimi giorni la mia bacheca è stata letteralmente invasa da post sulla pizza.
Fino a qualche anno fa, accadeva con le classifiche della qualità della vita con la più plastica delle contrapposizioni fra il classico panorama napoletano e una landa nebbiosa e desolata, con l’intento di dire che a Napoli si vive comunque meglio di quelle città del nord che sono invariabilmente in vetta alla graduatoria.
Migliaia di condivisioni, esplosioni ormonali di orgoglio, identitarismo cu ‘a pummarolla ngoppa, ma poi? Questo sentimento di appartenenza scalfisce il senso di subalternità che tantissimi napoletani si portano dietro su qualsiasi questione?
Io penso di no, lo vediamo anche nel pallone con ADL eletto a uomo della provvidenza senza il quale o si fallisce, o si retrocede”.
BUGIA SU DE LAURENTIIS
Rosario Dello Iacovo aggiunge: “In sostanza, la convinzione profonda è che a Napoli il pallone possa essere profittevole solo se lo gestisce De Laurentiis, che è al tempo stesso l’unico al mondo interessato a fare soldi con la squadra cittadina. Il resto è il proverbiale quanto farlocco: ma chi investe a Napoli?
Farlocco perché le 500 maggiori aziende campane fanno 50 miliardi di fatturato. Farlocco perché un gigante come la Apple, per esempio, non è certo venuto a impiantare fabbriche che restano in Cina, ma ha aperto però in sinergia con la Federico II un’accademia che sforna 300 diplomati l’anno, nessuno dei quali resta disoccupato.
Ecco, se la difesa di Napoli è la solita oleografia del sole (con tanto di polveri sottili), del mare (ma poi c’è mezzo metro di spiaggia libera in città e il mare è un lusso), della pizza, del mandolino e del putipù, allora io ne faccio volentieri a meno.
Soprattutto se diventa spot pubblicitario per Briatore che trolla e il solito pizzaiolo napoletano che si tuffa come un pescecane nella polemica del momento. Io non me ne faccio niente di questa napoletanità da cartolina che è un sentimento paternalistico e reazionario.
Io difendo la Napoli che cambia, la Napoli che studia, che si emancipa, si migliora, si gioca la partita in giro per il mondo e manda in soffitta il complesso di inferiorità insieme ai luoghi comuni del buana bianco che arriva periodicamente a civilizzarci.
È per questo che il mio Napoli ideale è così profondamente diverso da quello di Aurelio De Laurentiis, che la napoletanità la trasforma addirittura in moneta sonante, quando i soldi sono quelli degli altri, naturalmente”.