Fino alla fine dell’Ottocento al Vomero si saliva con i cavalli, salire sulla collina era disagevole e difficoltoso. Spesso per raggiungere alcune zone si dovevano superare tratti particolarmente acclivi, quasi scalarla.
In effetti prima della costruzione delle funicolari (1889), e poi dell’introduzione del primo tram elettrico (1899), per salire al Vomero l’alternativa all’uso di carrozze, peraltro non possibile su tutti i percorsi, era l’inerpicarsi a piedi lungo salite tortuose, strette ed erte: le “Salite”: la Pedamentina, il Petraio, Salita Cacciottoli, Calata San Francesco. Verso l’Arenella c’era la Salita Due Porte e la Salita Arenella.
Al Vomero si saliva con i cavalli
Solo chi disponeva di una carrozza, o almeno di un carretto, poteva salire lungo Via Salvator Rosa, allora chiamata “L’Infrascata”, aperta a metà Cinquecento, il percorso più agevole, meno acclive.
Lungo l’Infrascata si poteva salire anche a dorso di equini.
Nella parte bassa della strada esistevano alcune “agenzie” che noleggiavano i quadrupedi su cui inerpicarsi verso il Vomero e l’Arenella, soprattutto “ciucci”, fonte di ispirazione della letteratura e della pittura dell’Ottocento.
Le “Salite” erano percorsi di collegamento fra la collina e la città sorti dalla progressiva sistemazione dei valloni e valloncelli lungo i quali nell’antichità si incanalavano le acque piovane per scendere dalla collina vomerese verso la parte pianeggiante di Napoli.
Dove la collina scende con pendii scoscesi, cioè lungo i fianchi della collina che prospettano su Via Roma e sul mare, i percorsi pedonali scavati dalle acque nel tufo, cioè le “Salite” propriamente dette, costituiscono ovviamente itinerari stretti ed erti, scomodi da percorrere. Nel tempo sono stati sistemati prevalentemente con scalinate, attraverso zone poco edificate e si può affermare che sono rimaste sostanzialmente gli stessi di oggi.
Laddove la collina invece degrada più dolcemente, cioè lungo il fianco Museo-Piazza Mazzini, questi percorsi, essendo meno acclivi, si sono trasformati in “salite” più larghe e meno disagevoli, e quindi nelle principali strade di accesso al Vomero e all’Arenella (Via Salvator Rosa e la Salute).
A metà Ottocento l’apertura del Corso Vittorio Emanuele ha intercettato queste salite: da Piazza Mazzini verso Mergellina s’incontrano, nell’ordine, la salita dei Cacciottoli, la Pedamentina, il Petraio e Calata S.Francesco.
Questi itinerari rappresentano i percorsi più razionali per collegare la collina con la città bassa, tant’è che a fine Ottocento, per collegare il costruendo quartiere collinare con la città mediante le funicolari, si sono sostanzialmente ricalcati i percorsi delle antiche salite.
L’utilizzo delle funicolari non provocò l’abbandono delle salite: le due modalità per un certo tempo hanno coesistito con integrazione reciproca, come prova il fatto che nella prima parte del Novecento il Comune si è preoccupato del buon mantenimento delle salite, pavimentando i gradini, sistemando muretti, creando piazzole e belvederi panoramici lungo il percorso, apponendo targhe di marmo, etc.
Fonte: Antonio La Gala-Vomero, Storia e storie-guida editore