Rischio processo per De Laurentiis nell’affare Osimhen: Le accuse di De Paola e la riflessione sulla giustizia sportiva. Scopri i dettagli.
Il giornalista Paolo De Paola, attraverso il suo editoriale su Sportitalia, ha evidenziato il rischio concreto di un processo per il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. La Procura di Roma avrebbe messo sotto la lente il passaggio al Lille di Palmieri, Manzi e Liguori, valutati complessivamente 15 milioni di euro, come contropartita nell’ambito dell’acquisto di Osimhen. L’accusa principale è legata a presunti reati finanziari, in particolare falso in bilancio.
Il giornalista sottolinea che la richiesta di atti da parte del procuratore federale Chinè, che aveva già giudicato il caso, fa eco a quanto avvenuto nel contesto della Juventus in passato.
“Il rischio di processo per Aurelio De Laurentiis per falso in bilancio in seguito al passaggio al Lille di Palmieri, Manzi e Liguori (valutati 15 milioni) come contropartita nell’ambito dell’affare Osimhen è reale. Così come la richiesta di atti da parte del procuratore federale Chinè che aveva già giudicato il caso. Esattamente come accaduto per la Juve. Ci sono vari piani di lettura della vicenda. Quello più concreto riguarda il convincimento “morale” di tante tifoserie nei confronti della società bianconera che si potrebbe riassumere in “solo la Juve ruba, noi siamo gli onesti”. Lo stesso convincimento emerso dopo Calciopoli. Peccato che il procuratore Palazzi ammise, all’epoca con notevole ritardo, che c’era anche un’altra società (quella che ebbe in regalo uno scudetto) che avrebbe meritato di essere condannata ma si salvò solo “grazie alla prescrizione”. Questa è storia”
L’articolo fa anche riferimento a recenti ritornelli che riflettono l’atteggiamento difensivo di alcune squadre nei confronti di accuse di irregolarità finanziarie. De Paola riporta slogan come “Noi abbiamo i bilanci corretti” e “Noi vinciamo senza imbrogli finanziari”, sottolineando l’ipocrisia implicita in tali dichiarazioni.
“Di recente, altri ritornelli si sono fatti strada sempre in linea con il convincimento iniziale. “Noi abbiamo i bilanci corretti”, “Noi vinciamo senza imbrogli finanziari“, “un calcio dopato da irregolarità economiche falsa il campionato” e via di seguito con altre subdole secchiate di acqua e sapone sulle coscienze di tutti. Autentici slogan per avvalorare la tesi degli scudetti “puliti” contro quelli “sporchi”. Sono gli anni che viviamo in cui ci sentiamo tutti in grado di fare la morale agli altri senza mai guardarci intorno e senza mai giudicare noi stessi. I piazzisti di una giustizia a orologeria. Quanti ne vediamo in giro, in ogni campo. Sempre pronti a far massa contro l’accusato eccellente, ma anche contro quello meno eccellente. L’indignazione a spot valida per un post che poi è l’anagramma della stessa parola. Fuffa nel ventilatore di una società finta, modificata dalla chirurgia plastica dei sentimenti: forzata, esagerata, fuori luogo, ma soprattutto ipocrita. Intendiamoci bene, qui nessuno vuole pronunciare accuse o emettere sentenze ma, al contrario, invitare a una prudenza futura e possibilmente retroattiva”.
Nell’ultima parte dell’editoriale, De Paola sottolinea la necessità di far sì che la giustizia faccia il suo corso, ma invita anche a una prudenza futura e retroattiva. L’articolo conclude con un appello a evitare facili giudizi e a comprendere che accusare sempre la stessa società non risolve i problemi di fondo.
“La giustizia deve fare il suo corso, lungo o breve che sia, ma è sulla giustizia sportiva che bisogna concentrarsi per sottolinearne limiti e lacune. È possibile accogliere la tesi che, siccome altre Procure non hanno indagato su una pratica diffusissima nel calcio, bisogna accontentarsi di giudicare una sola società? E poi, in quale ordinamento giuridico è scritto che un ipotetico reato abbia molto più peso se commesso reiteratamente anziché sporadicamente? Un reato è un reato. Solo per capire. E non si sostenga che il coinvolgimento di più protagonisti svaluti la portata di una vicenda. È però necessario comprendere che indicare sempre Caino non conduce gli altri alla salvezza”.