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L’appello di un bambino trapiantato: “Sono immunodepresso, restate a casa”

Un bambino trapiantato immunodepresso del casertano ha lanciato un appello in piena emergenza coronavirus: “Sono immunodepresso restate a casa”.

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Il grido di aiuto arriva da Pio, appena sei anni ma che ha già dovuto affrontare un trapianto. Il bambino di Cesa, comune del casertano dove stamattina c’è stato il terzo tampone positivo, ha voluto scrivere una lettera. Nel testo Pio prova a descrivere le sue difficoltà, ma invita anche tutti a restare a casa, per il benessere collettivo. Ecco il testo della lettera.

Ciao mi chiamo Pio e ho 6 anni, sono un bambino trapiantato quindi ‘immunodepresso…’ Sai cosa significa immunodepresso? Te lo spiego in 4 semplici parole: zero anticorpi – zero difese immunitarie.

Abito a Cesa e il sindaco del mio paese cerca in tutti i modo di proteggere me e altre persone più deboli come me ma…
SE TU NON RESTI A CASA, il suo aiuto sarà vano…Pensaci… Grazie

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LA LETTERA DELLA DOTTORESSA CASERTANA

Prima dell’appello di Pio di Cesa, sempre dal casertano arriva un’altra testimonianza questa volta di una dottoressa del casertano. Lucia Potenza medico radiologo dell’azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, attraverso i social ha scritto:

Ricordo ancora il mio turno di due settimana fa passato, come spesso accade, senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Cotugno di Napoli. Si aspettava l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la nostra Azienda. Io stessa guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare; se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.

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