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Paolo Villaggio e Napoli, amore controverso

Paolo Villaggio e Napoli, amore controverso: Maestro ammirato in«Io speriamo che me la cavo» ma anche sotto accusa per i giudizi.

di Alessandro Chetta CdM

Paolo Villaggio e Napoli

NAPOLI «Se ne va un grande amico. E un grande attore». Lina Wertmuller ha diretto Paolo Villaggio – scomparso ieri a 84 anni – in “Io speriamo che me la cavo” nel ’92, tratto dal bestseller, napoletanissimo, di Marcello D’Orta. Paolo Villaggio e Napoli sono legato a doppia corda da questo film.

«Non fatemi scadere però nei luoghi comuni – dice la regista -, Villaggio è stato un grande attore, naturalmente molto diverso da Giancarlo Giannini (suo pupillo, ndr). E reputo inutile distinguere tra attitudine comica e drammatica. In quel film uscì certamente fuori più la seconda qualità».

Paolo Villaggio e Napoli, amore controverso

Ultima maschera del cinema italiano?

«Ma no. Il livello di Paolo è stato altissimo ma per fortuna di bravi attori sulle scene ce ne sono sempre. Il ciclo non finisce».

Non solo Fantozzi. Al cinema, quel volto rotondo che sotto gote cicciotte celava spigoli vivi si confrontò da par suo anche con l’umanissima miseria del Sud. Vestì i panni del maestro Marco Tullio Sperelli, alter ego di D’Orta, che scala con grande pietas la fiducia degli alunni di Corzano, trasposizione in celluloide di Arzano.. Un lavoro realizzato nel 1992 tra la Campania e la Puglia.

Maestro ammirato in «Io speriamo che me la cavo»

Villaggio interpretava il ruolo di un maestro del Nord, Marco Tullio Sperelli, al quale toccò il compito di mettere in riga i ragazzi di una elementare di Corzano, la Arzano raccontata da D’Orta. Tra lui ed i bambini nacque un rapporto unico.

Per quei bambini scuola e vita erano già abbastanza sgarrupate e ora gli toccava pure l’insegnante settentrionale. Il ribaltamento, classico, del luogo comune varrà dopo 95 minuti di pellicola per entrambi i fronti: gli scolari trovano spalle forti su cui contare e il prof piccoli maestri di verità. Villaggio interpretò un ruolo asciugato dalla cifra comica perfida e surreale. In un punto però si connette appieno al suo Ragionier Ugo più ribaldo:

«C’ha facite o no ‘sta siringa a questa por addìa? O aspettate ca’ more, brutta capa ‘e pezza!» inveisce in dialetto contro la suora indolente, nell’epilogo del film, difendendo la mamma di un alunno. Compresa la lezione indossa l’elmetto: al Sud libri, penne e contegno sono solo una parte della storia; l’altra la fanno le barricate disse il  Maestro ammirato in«Io speriamo che me la cavo».

Le immagini girate a Napoli furono quelle di San Giorgio a Cremano, il resto tutte a Taranto.

La troupe lavorò su più location: di Napoli c’è solo…San Giorgio a Cremano, ovvero la magione – sgarrupata maxima – Villa Pignatelli di Montecalvo, set anche di Reality di Matteo Garrone, travisata ancor’oggi da quattro strati di tubi innocenti e impalcature (in effetti era perfetta per indicare la precarietà della situazione). E poi soprattutto Taranto, al borgo antico.

Amore controverso

Di Villaggio oggi si ricordano, ma con rancore, i neoborbonici. Non gli perdonano le parole dette in tv. A proposito della scarsa prevenzione fatta per l’alluvione nella sua Genova, l’attore sputò fuori: «I liguri sono impreparati eppure hanno la presunzione di essere precisi come anglosassoni, distanti dalla cultura sudista, borbonica, piaga d’Italia».

Schiettezza da «belva umana» messa all’indice, il web si riempì d’insulti. Però disse «sudista» non meridionale, e un dicitore come lui conosceva il canyon che separa i due vocaboli.

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