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Ecco come Carlo III fece conoscere all’Europa le bellezze di Pompei ed Ercolano

Carlo III di Borbone fece conoscere all’Europa le bellezze di Pompei ed Ercolano. Un’idea geniale del sovrano diede il via al neoclassicismo e allo stile ercolanese.

Carlo III di Borbone fece conoscere all’Europa le bellezze di Pompei ed Ercolano

La scoperta di Ercolano avvenne per caso. Il contadino che scavò il pozzo cercava l’acqua, e trovò delle statue di marmo. Molta della fama delle città distrutte dal Vesuvio dipese dalla segretezza che accompagnava gli scavi. Per molti anni fu vietato al pubblico l’accesso restò vietato.

Il permesso di visita poteva concederlo soltanto il primo ministro Tanucci.

Ma basta proibire una cosa per renderla attraente. Lo scrittore britannico Norman Douglas scrisse che i suoi connazionali, dopo essere vissuti per qualche tempo in Italia, scoprivano un piacere sconosciuto: il gusto d’infrangere la legge.

Visite a Pompei e a Ercolano

Quando Ercolano e Pompei diventarono visitabili, permase per lungo tempo la proibizione di disegnare i ruderi. Era addirittura vietato prendere appunti. Beffarsi di quelle assurde interdizioni diventò perciò il gioco prediletto dai turisti inglesi. Lady Anne Miller, che in compagnia del marito visitò Pompei nel 1771, riuscì a eludere la sorveglianza dei custodi. Ma, per potersi dedicare esclusivamente a copiare affreschi e iscrizioni, dovette rinunziare a godersi la vista delle rovine.

Un particolare divertente: la nobildonna trascurò di trascrivere i graffiti, essendosi resa conto che molte frasi erano oscene.  Pure gli otto preziosi volumi delle Antichità di Ercolano esposte, usciti dai torchi della Stamperia Reale, riscossero un eccezionale successo, in virtù del fatto che non potevano essere acquistati.

Il sovrano di Napoli fece stampare dei libri da regalare ai reali Europei.

A Carlo III di Borbone gli aspetti culturali interessavano meno di quanto comunemente si crede. Egli vietò che Le Antichità di Ercolano esposte fossero messe in commercio. E, invece di spedire quei libri alle accademie e agli studiosi che li avrebbero sicuramente apprezzati, si limitò a inviarli in dono ai sovrani e gli alti dignitari europei. Ciò lascia intendere che egli mirava a esaltare la grandezza di Napoli e la magnificenza della dinastia da lui fondata. E vedeva nella collezione dei capolavori antichi riportati alla luce una fonte di prestigio internazionale e uno strumento di propaganda politica.

Per coloro che avevano ricevuto i volumi, esibire il possesso delle Antichità di Ercolano era come esporre una patente d’appartenenza alla «crème» dell’alta società. Questo spiega perché gli esclusi erano torturati della brama di ottenerli. Da Parigi il segretario di legazione Ferdinando Galiani scriveva continuamente a Tanucci, implorandolo di mandargli copie da regalare «a chi ci ha reso servigio».

Carlo III Borbone fece conoscere all'Europa le bellezze di Pompei
venditrice-amorini

Il ministro dapprima rispose picche. Ma poi il diplomatico gli descrisse dettagliatamente quanto stava accadendo. E lui rimase esterrefatto. Nella capitale francese le illustrazioni delle Antichità – secondo le intenzioni di Carlo III destinate al godimento d’un minuscolo gruppo di privilegiati – venivano continuamente riprodotte dagli artisti ed erano diventate popolari.

Alludendo al famoso affresco pompeiano della «Venditrice di amorini», Galiani scrisse: «Quella pittura d’una donna che vende amoretti come polli, io l’ho vista ricopiata qui in più di dieci case».

Carlo III di Borbone creò una moda

La gente impazziva per gli arredi realizzati secondo lo stile ercolanese, erroneamente chiamato «mode à la grecque». Orafi, tappezzieri, ceramisti, scultori ed ebanisti lavoravano senza sosta per soddisfare le richieste della clientela.

Esso raggiunse l’apice durante l’impero napoleonico, quando Carlo era morto. Addirittura può darsi che egli non si rese mai conto d’avere contribuito alla creazione d’un nuovo stile.

La maniera del tutto casuale e quasi inconscia in cui realizzò il risultato non può in ogni caso andare a scapito dei meriti spettantigli. Persino Fleming, se avesse pulito meglio la piastra di cultura del laboratorio evitando la nascita spontanea di muffa antibatterica, forse non avrebbe scoperto la penicillina. Ma questo non gli impedì d’ottenere ugualmente il premio Nobel.

Chi era Carlo III?

Carlo III di Borbone, nato nel 1716 da Filippo V re di Spagna e dalla sua seconda moglie, Elisabetta Farnese, non poteva aspirare al trono perchè c’era un erede, figlio della prima moglie Maria Luisa Gabriella di Savoia, il principe Ferdinando. Non sopportando il pensiero che il figlio Carlo dovesse vivere all’ombra del fratellastro, la regina Elisabetta, grazie alla sua intelligenza, scaltrezza ed abilità manipolatrice su tutte le corti europee, ottenne per il figlio prima la successione nei ducati farnesiani e nel Granducato di Toscana, poi, approfittando della rivalità sorta fra la Francia e l’Austria a proposito della candidatura di Stanislao Leszczynski al trono polacco, ottenne anche il Regno di Napoli.

Carlo, dunque, quando cinse la più bella corona d’Italia (frase scritta in una lettera dalla madre) aveva diciotto anni. Di statura media, aveva il corpo asciutto e muscoloso, gli occhi chiari, i lineamenti del viso assai pronunciati. La sua educazione non era stata delle migliori, giacché il precettore conte di Santisteban, invece di prepararlo alle cure dello Stato, pare preferisse coltivargli la naturale inclinazione per la caccia, la pesca e la pittura. Semplice di tratti ed affabile, di carattere piuttosto timido, venne diversamente giu­dicato da chi lo avvicinò. Ma i suoi biografi, anche i meno benevoli, sono concordi nel riconoscere che in lui la somma dei pregi morali era maggiore e più sicura di quella dei difetti e che il suo ingegno naturale suppliva alle manchevolezze di una educazione imperfetta.

Carlo nel 1738 ordinò che fossero ripresi gli scavi di Ercolano con sistemi più prudenti di quelli usati dal principe d’Elbeuf, il fortunato scopritore della città sepolta, e col proposito di raccogliere gli oggetti rinvenuti: più tardi fece cominciare quelli di Pompei e la messe fu così ricca ed abbondante da consigliargli la formazione di un museo, che presto poté gareggiare coi più importanti d’Europa, e la fondazione della Accademia Ercolanese per lo studio del materiale archeologico venuto alla luce.

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