Le articolate le vicende del quartiere Mercato.
Sul lato a settentrione permangono le insulae del tessuto urbano greco-romano delimitato da via Forcella, la strada di collegamento, in antico, con i territori vesuviani oltre le mura; lungo il tragitto, la porta greca prima, seguita da quella angioina, e, infine, il bastione aragonese: Porta Nolana.
Con l’espansione di epoca angioina e del Quattrocento, gli edifici seguono l’andamento delle mura medievali contigue alla strada del Lavinaio – il fossato angioino dove si incanalavano i torrenti d’acqua piovana (in dialetto lave) destinati alla spiaggia all’altezza del Carmine.
Quando (1484) l’intera area viene annessa alle mura aragonesi, le acque piovane vengono deviate all’Arenaccia, per fare posto nel limite meridionale al castello del Carmine, quarta fortezza cittadina, commissionato da Carlo III di Durazzo (1386) e demolito (sopravvivono tracce di mura e due torri) nel 1906.
tracce di mura e due torriI sovrani angioini trasferiscono in questa nuova dimensione urbana il mercato generale, precedentemente in piazza San Gaetano, e le attività delle Concerie, delimitate dai complessi conventuali di Sant’Eligio Maggiore e del Carmine.
Piazza Mercato assumerà fisionomia precisa solo nel 1781, con la sistemazione di Francesco Sicuro, ma dalla nascita costituisce il fulcro dell’area contigua al largo del Carmine (dedicato alla basilica di Santa Maria del Carmine), teatro di vicende cruciali per la storia del Sud, dalla decapitazione di Corradino di Svevia (1268) alla rivolta di Masaniello (1647), alle impiccagioni dei rivoluzionari della Repubblica Partenopea (1799) e dei moti risorgimentali antiborbone.
Il largo è descritto da viaggiatori, dalle guide e dagli artisti delle diverse stagioni come crocevia di scambi commerciali caotici e animati, saturo di baracche, banchi, tendoni, bancarelle improvvisate (caratteristiche attenuate solo di recente dalla delocalizzazione lungimirante, al CIS di Nola, delle attività principali…).
Le strade tutto intorno alla piazza mantengono i toponimi delle attività artigianali originarie: Conciari (conciatori di pelli, trasferiti in zona da Carlo I d’Angiò per bonificare il centro cittadino), Campagnari (fonditori di campane), Zabattari (“antica e sudicia e puzzolente stradicciola ch’era, nei vecchi tempi, il quartier generale de’ fabbricatori di ciabatte, ossia de’ calzolai, democratici dell’epoca” ricorda Salvatore Di Giacomo), Chiavettieri (artigiani del ferro, provetti nel fabbricare chiavi, toppe e serrature), Scoppettieri (fabbricanti di schioppi e altre armi da fuoco, in dialetto, genericamente, scoppette); lungo il mare, via del Piliero (ora via Cristoforo Colombo), tracciata da Domenico Fontana nel 1596 su commissione del viceré conte de Olivares, deve il nome alla piccola chiesa, costruita dai marinai nel 1602, dedicata a Santa Maria del Pilar, demolita nell’Ottocento.
Nel 1839, la Napoli-Portici, prima linea ferroviaria italiana e vanto della politica industriale all’avanguardia delle officine di Pietrarsa di Ferdinando II , innesta la ‘Stazione Nolana’ – con tanto di uffici, magazzini, rimesse, officina di riparazioni e sala d’aspetto per i passeggeri – lungo la ‘via dei fossi’ (ultima parte di corso Garibaldi): sul luogo, sopravvivono pochi ruderi puntellati e l’ultima finestra, ancora riconoscibile, nei pressi della Circumvesuviana (le glorie borboniche sono esposte nel Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, a Portici).
Ai confini con il quartiere Vicaria, nel 1877, il sindaco duca di San Donato dispone la realizzazione, parallela alla fascia costiera, della Villa del Popolo, passeggio alberato ‘democratico’ in contrapposizione alla Villa Reale di Chiaja, “folto giardino con lunghi viali, fontane, osterie economiche, teatrino e lunga terrazza a mare” (Raffaele D’Ambra, 1889).
La buona intenzione svanisce progressivamente nel vortice di trasformazioni che cambia la fisionomia dell’intero comprensorio e dei quartieri limitrofi negli ultimi venti anni dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento: il testamento e la rinascita, sotto nuove spoglie, dei ‘quartieri bassi’, insieme all’ampliamento del porto e alla riformulazione di tutta la fascia costiera.
“Ricavo da un lavoro … dell’Ufficio statistico municipale, che, a fronte di 45.000 vani, Napoli possiede 54.000 bassi, dei quali ben 36.000 lungo le vie. E questi nondimeno, quantunque privi di luce, specialmente nei rioni della marina e su per i vicoli dei colli, umidi e muffiti, non sono il più abietto ricettacolo della plebe napoletana.
Vi è qualcosa di molto triste, vi sono i fondaci: cortili vecchi e luridi, vicoletti senza uscita, cui di solito si accede per un androne, chiusi da alte fabbriche e mezzo nascosti qua e là in tutte le dodici sezioni … Se ciò relativamente è per la città in generale, si immagini ognuno quel che poi debba essere quella parte della vecchia Napoli, che ne è proprio il basso ventre…”
Ecco la fotografia amara della Napoli ‘diseredata’ di Giustino Fortunato (1874). Da questi bassi e fondaci, nel 1884, si diffonde a tutta città l’epidemia di colera (che investe tutta Italia, ma nel Sud il morbo è più aggressivo per le condizioni igieniche precarie).
Lo Stato e l’amministrazione cittadina non possono più rinviare un intervento strutturale risolutivo. In occasione della visita del re Umberto I (8 settembre 1884), si delinea il primo abbozzo di un ‘risanamento’ drastico dei quartieri più colpiti , attraverso la creazione di una rete fognaria finalmente adeguata, di una distribuzione idrica all’altezza dei tempi in tutta la città, con il nuovo acquedotto del Serino, e l’azzeramento drastico di secoli di stratificazioni e sovrapposizioni urbane e antropologiche, intrise di storia, degrado e miseria.
L’ingegnere capo della Direzione tecnica municipale Adolfo Giambarba è responsabile dell’elaborazione del primo programma (legge per il Risanamento della città di Napoli, 15 gennaio 1885), modificato e approvato, infine, nel 1886.
L’antefatto, tra il 1878 e il 1887, è l’ampliamento del Molo Grande per accogliere il Deposito Franco dei Magazzini Generali, e, a partire dal 1883, la costruzione dei moli Orientale, a Martello, Curvilineo, delle banchine di Villa del Popolo e Porta di Massa, e del collegamento ferroviario, nel 1888, con la Stazione Centrale.
Già con l’impianto successivo della Stazione Marittima (rimodellata durante il ventennio fascista ), il rapporto antico tra città e mare entra nell’era senza ritorno della città ‘moderna’.