Il quartiere Poggioreale
Nella conformazione moderna di istituzione ‘recente’, legato alla modernizzazione progressiva della città avviata nel corso del XIX secolo e culminata nel Centro Direzionale negli anni Settanta del Novecento.
Il nome antico ricorda la villa di delizie (1487, Giuliano da Maiano, uno dei protagonisti dell’architettura rinascimentale) di Alfonso d’Aragona, in declino vistoso già nel XVII secolo e poi definitivamente abbandonata. Dinanzi alla costruzione, il viceré duca d’Alcalà commissiona lo stradone di Poggioreale, alberato e ornato di fontane, nel 1604.
Con la modernizzazione ‘rivoluzionaria’ del decennio francese, il Consiglio degli Edifici Civili recluta i migliori tecnici napoletani, alcuni impegnati anche come ingegneri del Corpo di Ponti e Strade: un ‘piano regolatore’ di ampio respiro prende in esame la città nel suo complesso, con attenzione mirata all’ampliamento delle aree sia a occidente che a oriente del centro storico. Il progetto si ricollega alla visione lungimirante già delineata nel 1789 da Vincenzo Ruffo nel Saggio sull’abbellimento di cui è capace la città di Napoli, che prefigura in nuce molti dei temi messi a fuoco da Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e Gioacchino Murat (1808-1815), la rilevanza funzionale degli ‘ingressi’, delle strade, delle piazze e degli edifici pubblici della città, il richiamo alle profonde carenze urbanistiche.
I sovrani francesi, in definitiva, concepiscono Napoli come corpo aperto e dinamico, promuovendo un ampliamento organico verso il sistema collinare e verso oriente, prospettando nuove arterie di comunicazione scandite da piazze geometriche: la rete stradale messa a punto tra il 1807 e il 1812 risponde ad esigenze obiettive non rinviabili, e non è un caso se il programma non verrà interrotto né dalla restaurazione borbonica, né, in seguito, dall’Unità nazionale.
Le grandi opere pubbliche, a loro volta, favorendo l’impianto di nuove attività commerciali, creano le premesse per gli edifici commissionati dalla borghesia napoletana nel corso del secolo.
Tra il 1807 e il 1809 vengono completati i lavori per corso Napoleone (oggi corso Amedeo d’Aosta) e, nel 1810, per la ristrutturazione del sistema viario in prossimità dell’accesso settentrionale alla città (Roma e Caserta), mentre Stefano Gasse concepisce l’allineamento di via Foria (ridisegnata in forme regolari e unita al largo delle Pigne), con il riempimento del fossato e il taglio dei bastioni vicereali .
Sull’area della collina di Capodichino, la strada del Campo di Marte, aperta nel 1812 (Giuliano de Fazio), prosegue il disegno murattiano di ampliamento del perimetro urbano, in una zona destinata alle manovre e alle esercitazioni militari.
Nel 1813, su commissione di Gioacchino Murat, inizia la costruzione del primo nucleo del Camposanto Nuovo, progettato da Francesco Maresca sulla collina di Poggioreale e portato a termine con il ritorno dei Borbone.
I tempi stanno cambiando. Nei primi anni del XIX secolo in Europa l’interesse per i temi della salute pubblica e dell’igiene avanza di pari passo con i progressi delle scienze chimiche e biologiche: la funzione dei cimiteri, in rapporto soprattutto ai grandi agglomerati urbani, viene rivista radicalmente; i luoghi di sepoltura non possono più coesistere con la densità di popolazione del ‘centro’, vanno individuate aree esterne agli abitati, entro strutture circoscritte, che uniscano gli intenti monumentali e celebrativi ai requisiti indispensabili di igiene e tutela ambientale.
Napoli possedeva un cimitero ‘moderno’ dal 1762, il Camposanto dei Tredici o delle 366 fosse (poi detto Camposanto Vecchio), opera di Ferdinando Fuga, sulle pendici meridionali della collina di Poggioreale, ma ancora nel Settecento, malgrado il dibattito illuminista intorno alla questione, era diffusa l’abitudine di seppellire nella terra consacrata delle parrocchie cittadine.
Dal 1804 un decreto di Napoleone sancisce il divieto di inumare all’interno degli spazi urbani, prescrivendo la costruzione di cimiteri recintati, in luoghi periferici, preferibilmente alti e esposti a settentrione, bandendo l’uso delle fosse comuni e incoraggiando, dove possibile, la costruzione di monumenti e cappelle private.
L’individuazione precisa dell’area e le fondazioni iniziali sono del 1813, dunque, ma per gli eventi storici i lavori riprendono nel 1820, sospesi nuovamente nel 1821 e, infine, nel 1834, con la direzione di Luigi Malesci e Ciro Cuciniello, conclusi solo alla metà del secolo. Nell’attenzione alla collocazione paesaggistica è evidente l’influenza del cimitero parigino di Père Lachaise (1804-1812), laddove nei monumenti funebri si legge chiaramente il passaggio dalle forme austere di inizi secolo a quelle eclettiche dei decenni successivi, in linea con la sensibilità plastica dell’Ottocento.
Tra il 1806 e il 1840, Stefano Gasse, progettista ‘di punta’ di questo ciclo di trasformazioni urbane, è attivo in numerose opere pubbliche: nell’area orientale, il ‘muro finanziere’, le barriere e la Nuova Dogana, all’origine di una nuova frontiera che include di fatto nell’orbita cittadina le colline, insieme alle aree a occidente, a settentrione e ad oriente, o delle ‘Paludi’, diventando la base del programma di ampliamento urbanistico di Ferdinando II e post unitario.
Il muro vero e proprio, tuttavia, diviene ben presto il simbolo dell’oppressione fiscale, progressivamente demolito dal 1904. Sopravvivono oggi poche strutture, trasformate o in stato di abbandono, a Capodichino, a Poggioreale e al Ponte della Maddalena.
Nel 1839 Ferdinando II, nell’ambito delle Appuntazioni per lo Abbellimento di Napoli, pianifica in 89 punti gli interventi da realizzare in città (molti dei quali effettivamente portati a termine, anche dopo l’Unità), tornando, in particolare, sulla questione dell’espansione a oriente, e, al passo con i tempi, sulla individuazione di un’area organica ai primi fermenti e ai primati industriali delle manifatture reali (a quasi duecento anni di distanza, siamo di nuovo ad interrogarci sull’industrializzazione in crisi accentuata e le prospettive da rifondare).