LE MIRABILIA DI NAPOLI SCRITTE PER L’IMPERATORE OTTONE DI BRUNSWICK
Virgilio-Napoli. Tra i primi protagonisti di quel filone letterario che si fuse con il romanzo cortese, ci fu un chierico dell’ordine dei canonici regolari Premostratensi che lo storico Jacques Le Goff indicò come il primo folclorista europeo. Si tratta di Gervasio di Tilbury e, tra le pagine della sua opera che ebbe un successo grandioso e vantò infinite imitazioni, finirono anche alcune meraviglie napoletane.
Il canonico ebbe la fortuna di formarsi per diversi anni alla corte più vivace del Vecchio continente, quella di Enrico II della famiglia reale dei Plantageneti, dello stesso lignaggio, quindi, che si adoperò per rivendicare la discendenza diretta da Uther Pendragon e da suo figlio, il glorioso quanto mitico re celta Artù. Inizialmente, la raccolta dei fatti meravigliosi dell’Otia imperialiaera destinata proprio a Enrico il Giovane il quale, però, morì prematuramente (1183).
Dopo una breve battuta d’arresto, e alcuni sovrani che si avvicendarono, il chierico Gervasio continuò a redigere la collezione delle mirabilia destinandola infine all’imperatore Ottone IV di Brunswick, nipote di Riccardo Cuor di leone. Con la nomina di maresciallo della corte imperiale di Arles, Ottone gli affidò un incarico onorifico e diplomatico, un lasciapassare autorevole per vagare indisturbato tra le varie corti d’Europa ad attingere notizie strabilianti. Ospite dell’arcidiacono Giovanni Pinnatelli, a Napoli sostò almeno sei anni, dal 1183 al 1189. Fu in quel periodo che il magister Gervasio di Tilbury (amava firmarsi così) raggranellò uno a uno i racconti popolari per descrivere in un favoloso campionario le «cose insolite e meravigliose che potessero destare stupore», come egli stesso spiegò nella prefazione al terzo tomo che compone il Libro delle meraviglie: fenomeni fisici mai veduti, leggende, mostruosità, storie inconcepibili avvalorate da autori rinomati o dalla sua presenza, poiché il magister affermò di averle viste con i propri occhi. Insomma, il manoscritto racchiudeva tutto ciò che costituisce l’essenza dello stupore, ovvero quello che siamo incapaci di spiegare su base razionale.
LE MIRABILIA DI NAPOLI
Quindi, accanto a cavalli che spiravano fuoco, agli equinocefali, e alle formiche mirmidoni grandi come cani e col corpo simile ad aragoste, Napoli comparve tra i brani antologici destinati sia alla mera conoscenza del sorprendente sia al sollazzo dell’imperatore. A parte le vicende dell’oracolo della Sibilla Cumana (Otia imperialia, III, 121) e del lago d’Averno su cui, sorvolandolo, qualsiasi essere animato moriva all’istante (III, 19), l’eroe assoluto di queste cronache partenopee è senz’altro Virgilio, il Mago benefattore che «forgiò con arte mathematica una mosca di bronzo» (III, 10) animata da un potere così grande che, finché rimase integra, nessun insetto osò entrare in città; occultò un pezzo di carne in una parete del macello per rendere inalterabili tutti i pezzi che vi si vendevano (III, 12); sigillò ogni genere di rettile velenoso sotto il selciato dell’odierna porta Nolana, dacché, nonostante Napoli sorga su un’immensa cavità, non s’incontravano serpenti (III, 12); stregò la porta d’ingresso a Neapolis apponendovi una testa di marmo di Paro sorridente e un’altra corrucciata per cui, entrando dalla mano destra si avrebbe avuto buona sorte, e da quella sinistra il viandante sarebbe stato perseguitato dalla sventura; piantò un orto di erbe magiche a Montevergine (o Mons Vergili), dove «si può trovare l’erba lucia che restituisce immediatamente la vista agli ovini ciechi» (III, 13); nel medesimo giardino eresse una statua in bronzo con una tromba tra le labbra per infrangere e respingere il soffio dell’Austro che portava con sé il flagello della caligine ardente del vulcano (III, 13); a Pozzuoli, costruì dei bagni termali «utili alla cura di tutte le malattie, interne ed esterne al corpo» (III, 15); scavò per magia una galleria naturale, la Crypta neapolitana, così tanto lunga che anche raggiunto il centro s’intravedevano a stento i due imbocchi contrapposti: la virtù imposta alla grotta impediva a chiunque di mettere in atto progetti fraudolenti e nefasti (III, 16); scrisse un libro di precetti magici, l’Ars notoria, che fu rinvenuto in un sepolcro e sistemato a mo’ di cuscino sotto il capo del Poeta: fu portato via da un sapiente inglese in vece delle ossa del Mago che, per il timore che con la loro lontananza sparisse l’incantamento a protezione di Napoli, una folla di cittadini salvò mettendole in un sacco e trasferendole in un castello a mare (Castel dell’ovo), «dove vengono mostrate attraverso una grata di ferro» (III, 112).
Pochi anni prima di Gervasio, il vescovo di Chartres Giovanni di Salisbury, che aveva frequentato la corte normanna di re Ruggero, nel suo trattato teologico-filosofico Policraticus (1159 ca.) aveva già testimoniato il singolare tentativo di uno straniero, tal Lodovico, di portar via «le ossa, piuttosto che il senno, di Virgilio». A quel tempo, i miracoli di Virgilio erano così diffusi che in Europa non si faceva altro che discuterne con ammirazione. Solitamente si fa nascere il corpus delle leggende virgiliane nel Medioevo, ma è evidente che esse invece abbiano attinto alla vulgata orale e al culto al Poeta iniziato da Silio Italico e trasformato dalla tradizione in portenti mitizzati. Del resto, non si può non tener conto che, quasi a ogni storia partenopea con il Mantovano di Andes artefice di un fatto soprannaturale, corrisponda un luogo fisico o che siano individuabili impronte storiche del suo passaggio (a tal proposito, cfr. A. Palumbo, M. Ponticello, Misteri, segreti e storie insolite di Napoli, Newton Compton, 2012). Il terreno fertile dell’età di mezzo, piuttosto, fece da cassa armonica alla notorietà del poeta nella sua particolarissima accezione di taumaturgo ed esperto dell’Ars regia.
Dopo Giovanni di Salisbury e Gervasio di Tilbury, fu la volta del futuro arcivescovo Corrado di Querfurt, cancelliere dell’imperatore Arrigo VI di Svevia e suo rappresentante a Napoli con il delicato incarico di abbattere le mura della città fondate e protette magicamente da Virgilio. In una lettera (1194) al priore di Hildesheim, non senza una certa incredulità, l’inviato confermò di essere riuscito nell’impresa, ma soltanto perché il cristallo dell’ampolla fatata che racchiudeva Napoli si era incrinato: l’incantesimo di Virgilio aveva perduto vigore. Nella medesima missiva, dichiarando di averla constatata personalmente, Corrado si soffermò pure su un’altra tradizione che riguarda una diversa sorta di palladio, le reliquie di Virgilio: le ossa del Mago, custodite in un castello circondato dal mare, se esposte all’aria aperta, provocavano l’oscuramento del cielo, il ribollire delle acque e l’insorgere della tempesta, come per dire che i sacri resti del Mago-Poeta, in stretta relazione con l’imperscrutabile mondo della Natura, dovevano essere preservati agli occhi dei profani.
La rinomanza di Virgilio Mago non si fermò a Giovanni, Gervasio e Corrado: in breve, in opere volgari – talora in versi –, la fama del Vate propagò ovunque, a volte dimenticandosi di Napoli, altre volte omettendo le stesse generalità del mantovano. Ricordiamo alcune tra le più significative: l’abate inglese Alessandro Neckam e il De naturis rerum (II, 174), scritto al declinare delXII secolo; l’anonimo L’image du monde (1245); il Roman de Cléomadès della fine del Duecento; Il libro dei sette savi, uno dei volumi di novelle maggiormente popolari in Europa; il frate Paolino Minorita e Cino da Pistoia, del Trecento; il mantovano Buonamente Aliprando, famoso per la Cronica della città di Mantova (1414) in cui l’autore tentò di riportare le storie virgiliane alla terra che generò il Vate: Aliprando raccontò di Virgilio come un mago in piena regola che intratteneva rapporti con il Satanasso e, evidente segno della confusione e sovrapposizione in atto in quegli anni, parlò addirittura di un apprendista chiamato Milino, che è una forma corrotta del nome di Merlino, come Mellino, Merilino, Merleg e Meriliano particolarmente diffusi all’epoca. In questa breve rassegna non si può dimenticare, infine, il famoso Les faictz merveilleux de Virgile: nel Cinquecento fu tradotto in tedesco, in olandese, in inglese e perfino in islandese.
Tracce della tradizione diretta virgiliana, di vecchi che riferiscono storie di arti magiche, di lampi e di giardini prodigiosi, sono testimoniate da alcuni viaggiatori a Napoli fino ai primi anni dell’Ottocento (Italienische miscellen, 1803). Per tutti, la materia trattata delle gesta di Marone fu sempre al limite tra storia, leggenda e mito: Virgilio prosciugò paludi pestilenziali e nauseabonde; scoprì una fonte d’acqua dalle particolari virtù medicamentose; guarì i cavalli da una malattia sconosciuta e ne forgiò uno come un gigantesco talismano in bronzo di cui ancora se ne conserva la testa al Museo Nazionale di Napoli; affrontò e annientò un enorme serpente che viveva nel sottosuolo e che si nutriva di bambini; fabbricò una mosca d’oro, una cicala di bronzo e una pietra per favorire la pesca, acquedotti, fontane, pozzi e così via, con non poche varianti sugli stessi temi. Mentre nel multiforme sottotraccia delle prime leggende virgiliane fino all’anonima Cronaca di Partenope (XIV secolo) sono identificabili molti temi cari all’esoterismo e alla conoscenza sacra dell’antica religione, in seguito molte avventure di Virgilio diventarono un dedalo astruso e totalmente fantastico. È il caso dell’opera di Jean d’Outremeuse Myreur des histors della fine del Trecento in cui il mago è trasformato in un negromante che predica e profetizza la venuta di Cristo, spiega il mistero della trinità, lascia un ultimo scritto di dottrina cristiana che consola san Paolo e, come se ciò non bastasse, perde pure la connotazione italiana: diventa figlio di Gorgilio, re di Bugia in Libia. I tempi stavano cambiando, il grande benefattore pagano doveva essere cristianizzato, oppure trasformato in uno stregone alleato del Diavolo, nell’eterno nemico del bene. O, tutt’al più, si doveva tentare un esorcismo ancora più subdolo mettendo Virgilio in ridicolo, riducendolo, cioè, a un personaggio macchiettistico.
Fonte: Maurizio Ponticello, Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti storici e luoghi sconosciuti della città partenopea. Newton Compton editori