Astori non morì nel sonno, poteva essere salvato. Il capitano della Fiorentina fu stroncato da «Tachiaritmia» e non da «Bradiaritmia».
FIRENZE – Davide Astori non morì nel sonno,il retroscena svelato dal corriere della se. Dicevano che il suo cuore aveva rallentato il battito fino a fermarsi. Fino a morire. «Bradiaritmia», era l’ipotesi dei medici che avevano eseguito l’autopsia sul corpo di Davide Astori, il trentunenne capitano della Fiorentina trovato senza vita la mattina del 4 marzo scorso in una camera dell’hotel «Là di Moret» di Udine, dove alloggiava con la squadra per la partita dell’indomani contro l’Udinese.
ASTORI FU STRONCATO DA TACHIARITMIA
Non è così. O perlomeno non lo è per i professori Carlo Moreschi e Gaetano Thiene che hanno consegnato in questi giorni i risultati della perizia sulla morte del calciatore. Nel ponderoso lavoro dei due esperti incaricati dal pm Barbara Loffredo si parla infatti di «tachiaritmia», di accelerazione improvvisa dei battiti, di un cuore andato a cento all’ora senza dare scampo all’atleta. Cioè, esattamente l’opposto dell’ipotesi iniziale. E si dice anche che si sarebbe trattato del primo episodio violento di una patologia mai manifestata in precedenza. Primo e ultimo sintomo della malattia.
ASTORI POTEVA ESSERE SALVATO
Secondo i periti Astori, che quella mattina era stato trovato esanime a letto, non sarebbe morto nel sonno e forse si sarebbe salvato se avesse condiviso la camera con qualcuno che poteva dare l’allarme. Quel giorno nessuno aveva notato in lui nulla di strano. «Era sereno, gentile, allegro, come sempre», aveva detto in lacrime Marco Sportiello, il portiere della Fiorentina con il quale aveva giocato alla playstation fino alle 23. La mattina dopo, la tragica scoperta. «Non posso anticipare nulla — ha dichiarato con prudenza il procuratore di Udine Antonio De Nicolo —. Posso solo dire che sul caso è aperto un fascicolo a carico di ignoti. La collega sta studiando il documento. Non appena il lavoro sarà terminato decideremo se proseguire l’indagine o chiedere l’archiviazione». Viene alla mente la tragedia di un altro calciatore, Piermario Morosini, morto sul campo nel 2012 per una «cardiomiopatia aritmogena».