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Associazione Onlus Ciro Vive: “Petizione- E’ stata solo “una bravata””

Riceviamo e condividiamo l’appello dell’Associazione Onlus Ciro Vive, la lettera che Antonella Leardi ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per richiedere ancora una volta a gran voce giustizia per Ciro, per la riduzione della condanna per Daniele De Santis, da 26 a 16 anni della corte di appello. Aiutiamo a condividere la lettera e firmiamo l’appello dell’associazione

 

Al Signor Presidente della Repubblica Italiana e

Della Corte Suprema della Magistratura

SERGIO MATTARELLA,

 

 

Il giorno 9 settembre 2017, viene depositata la sentenza di 2 grado presso la Corte d’Appello di Roma, per la causa Ciro Esposito/ De Santis Daniele.

L’Appello che stravolge il primo grado

Cominciamo col dire che il termine bravata non si riferisce all’omicidio di Ciro, ma al lancio di pietre di Daniele De Santis nei confronti dell’autobus dei tifosi del Napoli avvenuto la sera del 3 maggio 2014 in occasione della finale di Coppa Italia a Roma tra Napoli e Fiorentina.

Lancio di pietre e non agguato con bombe. È questa la differenza sostanziale tra la sentenza di primo grado della Corte d’assise e quella di secondo grado.

L’unico punto fermo è l’assassino

L’unico punto fermo è che ad uccidere Ciro Esposito è stato Daniele De Santis l’ultrà romanista dell’estrema destra. Per il resto, la sentenza d’appello stravolge quella di primo grado. Al punto che l’avvocato Angelo Pisani, che rappresenta la famiglia di Ciro Esposito, dichiara che «leggendo le motivazioni dell’Appello sembra che i giudici abbiano voluto scrivere la sceneggiatura di un altro film. I video delll’attacco al pullman dei tifosi napoletani parlano più di qualsiasi testimone».

La sentenza d’Appello è stata scritta dal giudice scrittore Giancarlo De Cataldo. Sentenza che riduce la pena di De Santis da 26 a 16 anni di reclusione. Ha destato clamore il termine “bravata” ripetuto per tre volte, a proposito dell’aggressione da parte di De Santis al bus di napoletani. La differenza sostanziale sta tutta qua, nel passaggio da agguato a bravata.

Le differenze stanno tutte nell’aggressione all’autobus

Ormai tutti conoscono, sia pure solo mentalmente, quei luoghi. La stradina, via Tor di Quinto, in prossimità di Ponte Milvio e dunque dello stesso stadio, dove c’è un cancello, poi il circolo Ciak e a seguire il circolo Boreale dove vive De Santis. Reduce da una notte di coca e di amore con una prostituta che definirà Daniele molto nervoso la mattina seguente.

Verso le sei del pomeriggio, gli autobus e i tifosi del Napoli si avvicinano allo stadio. Per la sentenza di primo grado, De Santis lancia due bombe carte verso un pullman di tifosi con donne e bambini a bordo e invita gli stessi tifosi a scendere dal pullman.

Per i giudici di Appello, invece, «insofferente» per questo passaggio di tifosi napoletani davanti alla sua stradina, De Santis mette in atto una «bravata» lanciando «oggetti» (e non petardi) verso il pullman.

A questo punto, De Santis batte in ritirata anche perché teme la reazione dei napoletani. Corre, prova invano a chiudere il cancello ma viene raggiunto.

Il video

Seconda differenza. Secondo i giudici di primo grado, De Santis quando si vide raggiunto da Ciro Esposito aprì il fuoco. Non sparò dopo essere stato placcato o a terra. Sparò a freddo e cadendo si ruppe una gamba. E solo una volta a terra fu sopraffatto e duramente percosso dai tifosi napoletani. Per i giudici dell’Appello, invece, fa fede il video Azzarelli. Così scrivono: «Ė un elemento essenziale nella ricostruzione dei fatti. Si vede Ciro Esposito in testa dirigersi verso la stradina all’inseguimento di Daniele De Santis. Successivamente si sentono nettamente e distintamente gli spari. Il video dura in tutto sette secondi e sessantanove centesimi di secondo».

Secondo la sentenza, De Santis cerca invano di chiudere il cancello della stradina mentre è inseguito dai napoletani. Secondo alcuni testimoni, De Santis ha già varcato il cancello quando Ciro Esposito scavalca il guard rail e si lancia all’inseguimento. Per i giudici di Appello, nessun agguato e solo una «bravata».

Per la sentenza, i napoletani rincorsero De Santis con l’obiettivo di regolare i conti.

Crediamo che «Quello è stato un omicidio crudele e barbaro come  ha affermato, il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Ed era stata costruita una fotografia mediatico-politica quasi ribaltando i ruoli con il colpevole reso vittima». «Dalla madre, Antonella – ha aggiunto – sono arrivate le parole più belle mai di rancore o vendetta, sempre giustizia, verità, perdono». «Finora questa famiglia non ha avuto giustizia, non l’ha avuta Ciro né la città.

Ci auguriamo che arrivi una giustizia piena perché quello è un omicidio che ha trasformato una giornata di festa in una di lutto»

Crediamo che questa sentenza, sia non solo un’ulteriore mortificazione alla dignità di un giovane ragazzo Ciro Esposito e della sua famiglia, ma anche a tutti noi cittadini onesti che abbiamo creduto e crediamo ancora nella GIUSTIZIA, i termini utilizzati come “BRAVATA” e “GIOIOSAMENTE” siano provocatori e colpevoli di alimentare altro ODIO, VIOLENZA E RAZZISMO. Detti termini, inoltre, ci sembrano inammissibili soprattutto se trascritti e dichiarati da un Giudice/scrittore. Per questo Le chiediamo di porre la sua attenzione a questa causa e che venga fatta finalmente la meritata Giustizia, che tutti attendiamo. Inoltre Le chiediamo, di ottenere una risposta pubblica,  in merito alla lettera di una mamma ancora lacerata dal dolore per la perdita del figlio. Con osservanza

 

 

Il testo della Lettera che sottoscriviamo e condividiamo,

“mi chiamo Antonella Leardi e scrivo a Lei che rappresenta il mio Paese, perché per alcune responsabilità delle nostre istituzioni, io ho dovuto seppellire mio figlio: un fatto innaturale, la peggiore sorte per un genitore; e Le scrivo, in quanto Lei è presidente del Consiglio superiore della Magistratura, perché, se come madre sono avvilita, come cittadina sono disgustata, indignata, furiosa per come non la Giustizia, ma l’interpretazione della legge abbia offeso la memoria di mio figlio, Ciro Esposito, e irriso il dolore e l’attesa di giustizia di noi, suoi arenti, e degli italiani. Quasi non volevamo credere che un tribunale avesse ridotto da 26 a solo 16 anni, la pena per l’assassino di mio figlio. Aspettavamo le motivazioni di quella incomprensibile sentenza, per capire. E ora le abbiamo. No, Signor Presidente, no, no, no e no! Non accetto, non posso consentire che la tragedia che ha distrutto la nostra famiglia sia definita “una bravata” dal tribunale che doveva renderci conto del crimine e del dolore che ha cambiato le nostre vite; è un insulto che un omicidio sia ridotto a malaugurata azione “dimostrativa”. Dimostrativa di che? Di quanto si può sopravvivere dopo essere stati sparati con una pistola? La logica e la decenza si ribellano all’idea che si cerchi di giustificare l’assassino, “insofferente per la presenza di tanti tifosi napoletani”. Ma davvero? E si ha il coraggio di riportare questo incredibile argomento nella motivazione di una sentenza che quasi dimezza la pena per l’omicidio di uno sconosciuto, colpevole di essere tifoso di un’altra squadra? E, di grazia, vorrà il magistrato chiedere all’assassino qual è il numero di tifosi che è disposto a far andare allo stadio, senza che lui ne ammazzi qualcuno? Non esagero, Signor Presidente, quando affermo che la motivazione della vergognosa sentenza per l’omicidio che ha devastato la mia famiglia, sembra mirare a una continua sottostima del valore della vita della vittima e a un funambolico tentativo di “comprendere” le ragioni dell’assassino e minimizzarne la colpa. Altrimenti, come commentare l’affermazione che il boia di mio figlio, prima di finirlo sparando con una pistola, avrebbe lanciato sì, dei petardi contro i tifosi napoletani in transito, ma “alcuni gioiosamente”. E quanto gioiosamente ha poi premuto il grilletto? Se lo Stato umilia così la vittima, invece di renderle giustizia e tutela, cosa diviene lo Stato, se non un complice dell’omicida? Uno Stato che ha responsabilità enormi nella morte di mio figlio: Ciro e i suoi amici andavano allo stadio, lungo il percorso consigliato dalle autorità di pubblica sicurezza e sul quale la sicurezza è mancata al punto che è stato commesso un omicidio. E percorso lungo il quale compaiono e scompaiono, lì “per caso”, secondo la motivazione della sentenza, sei individui con i caschi che li rendono non identificabili. E quello era il percorso “sicuro”? Lo Stato e le sue leggi hanno consentito ad un soggetto già noto alle forze dell’ordine di aggredire degli inermi passanti, armati solo di bandiere e fischietti, lo hanno lasciato girare armato. Io non so quanto ci sia di vero, Presidente, nelle voci di presunte “coperture istituzionali” a favore del killer di mio figlio, ma certo l’andamento giudiziario che pare così tanto volgere a suo favore e le incredibili, intollerabili espressioni usate nella motivazione della sentenza che lo premia, invece di punirlo, invece di spegnere quelle voci le amplificano. Mio figlio è morto e può essere insultato da morto, lui e noi, perché privi di “protezioni”? Non ci voglio credere e non vorrei nemmeno pensarci. Ma sta a Lei, ora Presidente, al Consiglio superiore della Magistratura, allo Stato convincermi che non è così. Mio figlio, già moribondo, quasi ha dovuto sentirsi gratificato dal riconoscimento, da parte di una stampa che pareva indagare più sulla vittima che sul killer, che lui, il mio Ciro, “pur essendo di Scampia”, era un bravo ragazzo e noi persone perbene. Perché, se sei napoletano, e peggio di Scampia, sei colpevole sino a prova contraria. E se, per assurdo, Ciro avesse rubato un motorino a 14 anni, sarebbe stata giusta la sentenza di morte eseguita da un pregiudicato 17 anni dopo? Non è una eccezione essere persone perbene a Scampia. Siamo centomila persone, a Scampia, Presidente. I parenti delle vittime sono sempre un po’ fastidiosi: si lamentano; pensano solo a quello che si è abbattuto sulle loro vite; gli altri, dopo un po’, si interessano di nuovi argomenti, magari persino nuove tragedie, ma nuove, diverse. Io lo capisco questo, lo avverto. Ma il vuoto che Ciro ha lasciato nelle nostre vite lo vediamo, lo viviamo, lo soffriamo ogni giorno. Come fai a spiegare a chi non lo ha vissuto, che da quel momento, quell’assenza è l’unica cosa che sovrasta tutta la tua vita e il resto…, il resto? Il resto di che? Le hanno ucciso un fratello, Presidente. Lei riesce a dimenticarsene? Riesce a svegliarsi la mattina senza pensare: lui non c’è? Riuscirebbe a tollerare che nelle motivazioni per l’omicidio di Suo fratello si potessero leggere banalizzazione della Sua tragedia e della vita soppressa con termini quali “bravata”, azione “dimostrativa”, persino l’individuazione di gesti “gioiosamente” compiuti nel corso dell’aggressione che si conclude con l’assassinio? Se la legge consente questo, la legge è sbagliata. Se la legge non lo consente, è sbagliata l’interpretazione della legge. No, io rifiuto con tutto il mio dolore, la ragione e il rispetto per quel ragazzo stupendo che era mio figlio, una banalizzazione della sua morte e del crimine, così come appare nelle motivazioni della sentenza. Chi doveva darci giustizia sta calpestando noi  e il nostro dolore e uccide Ciro per la seconda volta. Signor Presidente, credo in Dio e prego anche per chi ci ha fatto del male; sono stata educata a essere una cittadina rispettosa dello Stato, quale bene comune; e così ho educato i miei figli. Ma se non dovessi avere nemmeno da Lei un segno di maggiore giustizia, quando scatterete ritti dinanzi al tricolore o per l’inno nazionale, non si sorprenda se io mi girerò di spalle.”

Questa petizione sarà consegnata a:

Potete firmare la petizione al sito, potete contattare l’associazione alla pagina ufficiale o inviare una mail all’indirizzo associrovive@gmail.com

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