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ECCO LA FESTA DEL PAPÀ IN CHIAVE CALCISTICA: DI PADRE IN FIGLIO IL CALCIO NEL SANGUE

FESTA DEL PAPÀ IN CHIAVE CALCISTICA:

CRUIJFF, CONTI, GUDJOHNSEN, HIGUAIN MILLE STORIE, UN SOLO LAVORO IL PEGGIORE? EDINHO, EREDE DI PELÉ

Di: LUCA BIANCHIN la Gazzetta

Auguri, papà. Il 19 marzo è la festa consumistica con meno regali d’Italia, lui non se la prende, ma con più legami calcistici.

Il papà è il primo che ti fa giocare in cortile, passaggi davanti al garage oppure due contro uno: tu e un amico insieme, lui da solo.

Il papà è il primo che ti porta allo stadio, e se può permetterselo anche in panchina. A Conti, Klose, Higuain, Palacio, Destro è successo: genitore calciatore, erede calciatore. Tutti ad alto livello.

GLI OMOLOGHI: STESSO RUOLO

Il rapporto papà-figlio, quando c’è di mezzo il pallone, spesso si complica.

Beram Kayal, ex Celtic, ha scelto per il figlio il nome «Pirlo» – non Andrea, «Pirlo» e basta e il bambino dovrà spiegare il motivo per una vita intera.

Meglio del quarantenne inglese chiamato Graham Alex Jimmy Stewart Gerry Brian Martin Steve Sammy Stuart Lou Gordon David Tommy Matt, cioè con tutti i nomi di battesimo
dello United del 1976.

Neanche la squadra più forte del mondo: vinse una Fa Cup e poi nulla, zero tituli per sei anni. A Perotti, Palacio e Klose è andata meglio: un nome normale e l’intero patrimonio
ereditario in successione. Pensano soprattutto a fare gol come papà e a volte ricevono un soprannome in omaggio. Perotti è «Monito», «la piccola scimmia», perché papà era «El Mono» (e
giocava con un altro Diego, Maradona), un po’ come Veron è «La Brujita», «la streghetta», perché Juan Ramon Veron era «La Bruja».

A Diego questa storia della scimmia non piace, ma in fondo conta poco. Conta l’eredità, come per Sorrentino: portiere in Serie A come papà Roberto, però senza baffi.

GLI INCOMPARABILI

Se pensate di costruire su queste basi una solida fama di genetista, frenate: alcuni casi sono meno spiegabili.

Jordi Cruijff non valeva una finta di papà e Pjanic, alla rovescia, è tre volte più forte di babbo Fahrudin. In Serie A, succede anche con Mchedlidze, il padre ha vinto una Coppa delle Coppe con la Dinamo Tbilisi, con Alessandro De Vitis, ancora inferiore a papà Totò, e Mattia Valoti, che deve crescere per vivere una carriera all’altezza di papà Aladino.

Altri hanno avuto più tempo per raggiungere il genitore. Se Dustin Hoffman non sbagliava un film (come diceva Luca Carboni nel primo album), «Dustin» Antonelli non ha sbagliato l’educazione di Luca, che come lui ha giocato per Genoa e Milan.

A febbraio ha incontrato in sette giorni il Cesena di Cascione, figlio di Armando, e il Chievo di Frey, figlio di Raymond e fratello di Seba, un futuro portiere della nazionale che nelle
partitelle da bambino non voleva mai andare in porta.

Valoti racconta per tutti: «Da papà ho imparato ad arrivare per primo all’allenamento e ad andare via per ultimo. Abbiamo fatto un sacco di porta-contro-porta in un campetto sotto casa. All’inizio mi faceva vincere, poi ho cominciato a farcela da solo… e lui rosicava».

I COMPAGNI

I Gudjohnsen hanno scelto un campetto un po’ più grande: Estonia-Islanda a Tallinn nel ‘96, mitico caso di figlio che entra al posto del padre in nazionale. Paolo e Cesare Maldini, 11 scudetti e 6 Coppe Campioni in due, hanno fatto qualcosa di simile: capitano e c.t. dell’Italia al Mondiale.

Giocatore e allenatore, come Daniele e Alberto De Rossi, che ha appena rinnovato per tre anni con la Roma. Meglio di tutti, i Forlan: nonno Juan Carlos Corazzo, papà Pablo e figlio Diego hanno vinto (almeno) una Coppa America ciascuno.

Tripletta, come nella famiglia di Marcos Alonso, esterno della Fiorentina: nonno Marquitos vinse 5 Coppe Campioni in fila col Real, papà Marcos Alonso Peña giocò per Barça e Atletico.

GLI ALTERNATIVI: ALTRO RUOLO

Tra una generazione e l’altra, i Forlan hanno cambiato ruolo come gli Higuain, i Destro, gli Abate, i Conti (stesso nome, ma era più nobile il calcio di Bruno), come Pelé e il figlio Edinho.

Che poi, sono strani questi brasiliani. Pelé ed Edinho sono parenti, ma Ze, Zezé, Zico, Zito, Zinho, Zizinho e Zozimo non vengono dalla stessa famiglia.

Edinho in compenso è finito male, prima in carcere e poi legato a una brutta storia di droga. Colpa di papà? Bah.
Diceva Lorenzo Varnavà, (indimenticato) psicologo dello sport: «Avere un papà genio di solito è una gran rottura. I genitori dovrebbero evitare dilasciar vincere i figli, scegliere giochi in cui anche il bambino può essere competitivo e andare a vedere le loro partite solo qualche volta».

Tutti i papà che non sanno fare 20 palleggi prendano appunti ma evitino di fare come quella famiglia di Bournemouth, che andò a vedere la partita dell’erede.
Lasciarono lo stadio a dieci dalla fine, con il figliolo ancora in panchina. Lui entrò e segnò ai minuti 85, 86 e 88. Non sai mai quando maturano, i ragazzi.

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