La carta a a mano di Amalfi, storia, usi e procedimenti di un’arte che affonda le radici in Cina e raggiunge la Repubblica Marinara.
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La carta prodotta a mano di Amalfi è un vero e proprio fiore all’occhiello della cittadina, già ricca di capolavori di ordine storico, architettonico, artistico e paesaggistico. La carta, detta anche di “pezze” era chiamata “charta bambagina”, su questo nome vi sono molte ipotesi, anche se è molto probabile che la parola in latino medievale “Bambax” abbia origine dal greco, significando, infatti, “cotone”.
Storia: l’arte dalla Cina al Mediterraneo
La Carta di Amalfi, prodotta a mano nella Valle dei Mulini, è stata in passato una delle attività principali degli amalfitani. Le prime tracce sull’ origine della carta si trovano in Cina e risalgono al II a.C. Il merito della scoperta viene universalmente attribuito ad un ingegnoso mandarino, Tsai Lun, un ministro cinese, nel 105 d.C. La leggenda narra che Ts’ai Lun notò le fibre staccate dall’azione di strofinio e di battitura di panni logori da parte di una lavandaia. Tali fibre, galleggiando, andavano a riunirsi e allora il ministro cinese pensò di raccoglierle con delicatezza e di porle a seccare sull’erba. Quando le fibre si seccarono, Ts’ai Lun notò che il foglio formatosi aveva una certa consistenza, era bianco e morbido e poteva ricevere la scrittura. Il perfezionamento di quest’arte si compì attraverso tutto il mondo, a partire dal luogo di origine. Nel VII e VIII secolo anche i giapponesi ed altri popoli vicini ne appresero le tecniche di fabbricazione. In seguito questa industria passò all’ Asia Minore e all’ Arabia e nel Mediterraneo.
La nuova arte ebbe successo in poco tempo e sostituì la fabbricazione del papiro. Anche i materiali utilizzati per la produzione della carta subirono un perfezionamento. Il gelso fu sostituito dal bambù con opportuni trattamenti. Furono poi adoperati il lino, la canapa e poi gli stracci. Trattandosi di un procedimento meramente artigianale ogni cartaio aveva la sua ricetta segreta. Spetta, però, alle popolazioni italiane il merito di aver compiuto i primi passi verso una produzione, per così dire, più industriale. Molte operazioni puramente manuali furono meccanizzate, sia pure con i mezzi rudimentali allora conosciuti, a vantaggio della produzione e dei costi. I territori delle Repubbliche Marinare (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia) furono tra i primi in cui, nel XII e XIII secolo, si scoprì l’esistenza della carta. Queste Repubbliche, grazie agli intensi rapporti commerciali intrapresi con l’oriente, avevano la possibilità di imparare l’arte di fabbricare la carta senza troppe difficoltà. Da noi la carta apparve anteriormente al secolo XII, quando si iniziò a temere l’ esaurirsi del papiro, il cui prezzo era proibitivo.
E’ fondato ritenere che ad introdurla in Italia furono proprio gli Amalfitani che, in quel tempo, avevano intensi rapporti commerciali con il mondo arabo. Amalfi, infatti, è stata tra le prime in Europa a fabbricare la carta a mano. Nella cittadina della Costa d’Amalfi si sviluppò una vera e propria industria cartaria. In breve tempo nacquero e si svilupparono innumerevoli cartiere che hanno contribuito a rendere questo paese famoso in tutto il mondo per la sua pregiata produzione cartaria. La maggior parte delle Cartiere furono impiantate lungo la Valle dei Mulini. Nel 1811, nella relazione statistica di Gennaro Guida sulla provincia del principato Citra, pressappoco l’ attuale provincia di Salerno, si leggeva che ad Amalfi vi erano 14 cartiere, a Tramonti 15, a Maiori 8 e 3 a Ravello. In tali officine, attraverso l’ uso di varie macchine e con strumenti animati dalle acque, si fabbricavano le carte da scrivere ad uso dell’ intero Regno. Tuttavia, non tutte le fabbriche, a causa della mancanza di delle acque perenni, erano in attività tutti i mesi dell’ anno. La carta a mano di Amalfi e dintorni si usò, dagli Angioini ai Borboni, in tutte le Curie Regie per i pubblici atti tranne in quella di Re Federico II il quale, da Melfi, per stroncare l’ uso che se ne faceva in luogo delle pergamene, nel 1220, vietò alle curie di Napoli, Sorrento e Amalfi di usare, per gli atti pubblici, la carta bambacina, così detta dall’ antica città araba, Bambyche, dove questa carta si fabbricava con stracci di lino o di canapa. Ad Amalfi e sulla costa si era già affermata sul mercato alle soglie del 1200 e nei suoi esemplari, quale garanzia del prodotto e dell’ attività della sua gente, si imprimeva lo stemma della città. Ebbero cartiere ad Amalfi i Bonito, i De Luca, i Cimmino, i Vitale, i Milano e molti altri. Non si può tacere sul fatto che se oggi esiste ad Amalfi il Museo della Carta a Mano sito nella Valle dei Mulini, lo si deve a Nicola Milano, il quale ebbe la geniale idea di trasformare l’ antica cartiera di famiglia in museo, fondazione che, nel 197, ha avuto il riconoscimento ufficiale dal Presidente della Repubblica. Nel Museo sono conservati i telai di rete metallica, i magli, le presse, le ruote motrici e tutti gli strumenti e gli attrezzi usati per la lavorazione. Le cartiere, però, a causa della loro ubicazione erano soggette ai danni delle alluvioni, che portava l’acqua ad essere accompagnata da detriti. I cartai amalfitani, opponendo spirito di sacrificio e tenace volontà, continuarono la produzione in virtù soprattutto della tradizione. Generazione in generazione, da padre in figlio, conservando sempre quella intraprendenza insita nel loro carattere. L’ alluvione del 1954 che seminò rovine e morte tra Cava, Salerno e la Costiera Amalfitana distrusse la maggior parte delle cartiere di Maiori, Tramonti e Amalfi. Delle sedici ancora in attività all’epoca della catastrofe ad Amalfi, ne rimasero soltanto tre.
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Il procedimento di produzione della Carta di Amalfi
Il processo di fabbricazione della Carta di Amalfi è molto affascinante e si componeva di varie fasi. Un atto notarile del 1759 riporta una dettagliata descrizione di una cartiera amalfitana di quell’epoca, che risultava costituita da diversi ambienti, ognuno riconducibile ad una precisa fase di lavorazione: la stanze delle “pile”, quella del tino, dello “stracciaturo”, della caldaia, dell’officina, dell'”asciugaturo” ed infine dello “spannituro”. La materia prima era costituita da cenci di cotone, lino o canapa, raccolti nelle strade di Amalfi o dalle zone limitrofe, che, tagliati a pezzi, erano posti entro le vasche di pietra, denominate “pile”. Nelle pile, riempite d’acqua, gli stracci venivano battuti, fino al completo sfibramento, da magli o pestelli di legno mossi dalle acque. La prima pasta, così ottenuta, passava nei tini in muratura, interamente rivestiti da maioliche. In un secondo momento, l’ operaio addetto immergeva, a mani nude, nel tino un telaio, su cui vi era adagiata una sottile rete metallica, una specie di setaccio, detta “forma”, con il quale si raccoglieva una certa quantità di pasta che si distribuiva, in uno strato sottile, su tutta la superficie della forma. Le varie forme recavano al centro la filigrana, ovvero il marchio di fabbrica che, visibile unicamente in controluce, serviva per distinguere non solo i cartari ma anche il tipo di carta prodotta. Ancora oggi sono visibili nel Museo della Carta esemplari di antiche filigrane, i cui motivi più ricorrenti erano: lo stemma amalfitano, l’ancora e gli stemmi di nobili casate amalfitane. Si faceva poi scorrere l’ acqua e l’ impasto veniva messo tra feltri. La catasta passava quindi alla successiva fase della “pressatura” ove, mediante un grande torchio in legno, l’ impasto veniva sottoposto a forte pressione per eliminare l’ acqua residua. Il foglio così ottenuto, staccato dai feltri passava nello “spannituro”. Infine il foglio veniva stirato nella stanza dell’allisciaturo e posto ad asciugare all’ aria. Trattato poi con gelatina animale, essiccato, lisciato e spianato a mano, il foglio era pronto per l’ utilizzo. L’intero processo produttivo era svolto da varie figure professionali, non ultimi giovanissimi apprendisti, una sorta di unico grande ingranaggio fatto di uomini e macchine, sotto la meticolosa soprintendeva di un “magister in arte cartarum”, il maestro cartaro. l procedimento di fabbricazione appena descritto è rimasto praticamente immutato dal Medioevo. L’introduzione di nuove macchine quali la “molazza” e “la macchina olandese” con la Rivoluzione Industriale ebbe unicamente il pregio di alleggerire il lavoro dell’artigiano e di velocizzarne alcune fasi.
Gli usi
La Carta di Amalfi si utilizzava per i documenti ufficiali del ducato ed era in uso presso le corti degli Angioini, degli Aragonesi e in quella Borbonica. Indubbiamente la filigrana di qualità rendeva la carta molto più pregiata rispetto alle altre ed è per questo che frugando negli archivi storici potete imbattervi in antichi documenti scritti su Carta di Amalfi. Un altro utilizzo della Carta di Amalfi era per comunicazioni diverse da quelle ufficiali come annunci di nozze e inviti a corte. Attualmente la carta è impiegata per la riproduzione di stampe antiche, per xilografie e per corrispondenza di riguardo. In particolare, la Carta di Amalfi è ancora prodotta e usata dallo stato del Vaticano per la corrispondenza, molto richiesta inoltre per occasioni importanti e per la pubblicazione di eleganti opere letterarie.
Il Museo della Carta
La storia della carta d’Amalfi che ancora affascina è uno dei motivi per i quali la Costiera Amalfitana ha il suo prestigio. La cartiera Milano è stata adibita a Museo della Carta. Il museo si trova ad Amalfi in via Delle Cartiere, 24. Per raggiungerlo, una volta arrivati ad Amalfi percorrendo la strada statale 163 e arrivati alla rotonda di Piazza Flavio Gioia, svoltare a destra in Via Lorenzo D’Amalfi e proseguire a piedi sempre diritto, attraversando il centro cittadino e via Pietro Capuano. Con i mezzi pubblici invece bisogna affidarsi ai pullman della SITA. Il museo è stato ricavato all’interno di una ex cartiera dal Cav. Nicola Milano, che ne era lo storico proprietario. La “Fondazione Museo della Carta” dal 1971 si occupa della diffusione e della divulgazione dell’antica arte della lavorazione della Carta di Amalfi. Nicola Milano nacque ad Amalfi nel 1903 e si può considerare veterano della lavorazione della carta. È grazie alla sua passione che Amalfi ha un museo dedicato alla carta, avendo lui stesso portato avanti ben tre attività di questo tipo. Purtroppo nel 1969 l’ultima cartiera chiuse i cancelli. Non riuscendo a separarsi dalla Carta di Amalfi, decise di creare il Museo della Carta. Oggi il museo rappresenta una realtà interessante dove alla conservazione è stata affiancata l’attività di ripresa delle antiche arti. Durante la visita guidata si può assistere anche alla realizzazione dei fogli a mano e vedere in azione gli antichi mulini azionati dalle acque del torrente Canneto.
Orari di apertura
Il museo, dal 1° marzo al 31 ottobre è aperto tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.30, dal 1° novembre al 28 febbraio è aperto dalle 10.00 alle 15.30, chiuso il lunedì e giovedì. Nel periodo compreso tra il 27 dicembre e 06 gennaio si rispettano gli orari estivi per via dei maggiori flussi turistici e il museo resta sempre aperto, anche la domenica dalle 10.00 alle 18.30. E’ previsto il pagamento di un biglietto.