Leggende di Napoli

Il racconto: venerdì primo novembre 1940 il primo bombardamento su Napoli

 Il primo bombardamento su Napoli

La notte di venerdì primo novembre 1940, intorno alle quattro, Napoli fece  conoscenza con l’urlo intermittente della sirena che annunciava l’allarme vero.

Ecco il racconto di quel giorno :

“Mio padre balzò dal letto, venne nella nostra stanza e, con voce concitata, ci disse: “Ragazzi, questa non è un’esercitazione, ora cadono le bombe. Fate presto!”. Intanto la cara Maria era già pronta con i nostri cappottini e le scarpe. Ci imbacuccò alla meno peggio e ci portò sul pianerottolo delle scale, mentre mio padre, secondo le istruzioni, chiudeva il contatore del gas, della luce e dell’acqua. Mamma lo aspettò e poi si unì a noi nella corsa verso il rifugio. Per le scale il vociare era concitato, assordante: esclamazioni, commenti, previsioni, invocazioni alla Vergine…

Ancora, a distanza di tanti anni, ricordo l’odore di chiuso e di umido del rifugio o ricovero, come lo chiamavamo abitualmente. Lì, rassegnati, si aspettava l’imminente pericolo. Pericolo che non si fece attendere: si cominciò a sentire il fragore delle batterie antiaeree, poi i sibili e i boati delle bombe. Le donne anziane e giovani invocavano in coro Santi e Madonne perché fossero salvate dalla morte. Un veterano della guerra d’Africa spiegava, per rassicurare, che “chi ode il mugolio di una bomba può considerarsi salvo, la bomba andrà a cadere lontano”.

Quella notte feci conoscenza con la voce straziante delle bombe. Accanto a quest’esperienza ne feci un’altra: finito l’allarme, uscii all’aperto con mio padre; fuori dal portone erano assiepati un gruppo di giovanotti che fumavano e commentavano l’accaduto. Alzai gli occhi al cielo, che mi apparve luminosissimo, pieno di stelle, in stridente contrasto con la città, avvolta in un buio profondo.

 

   Camillo Albanese

Mentre contemplavo quello spettacolo arrivò un giovanotto su una motocicletta sgangherata che ci ragguagliò sugli obbiettivi centrati dalle bombe. La mattina seguente si seppe che i quartieri colpiti erano quelli di Poggioreale (dove c’era la raffineria), la Stazione Centrale, Porta Capuana e Bagnoli (dove c’erano le industrie belliche). In poco più di due ore, tanto durò quella prima incursione, con varie ondate, non vi furono morti, solo feriti, e i danni prodotti non furono tanti.

Gli inglesi erano meticolosi, cercavano di colpire solo obbiettivi strategici, evitando le abitazioni civili. Seguivano un rituale preciso: lanciavano prima potenti razzi, con i quali illuminavano a giorno la città poi, localizzato l’obbiettivo, sganciavano le bombe.

Da quel momento in poi, la mamma, divenne meticolosa, seguendo una consolidata abitudine, accompagnava a letto noi piccoli tutte le sere e, in previsione degli allarmi notturni, metteva a portata di mano, in bell’ordine, i cappotti e le scarpe slacciate a dovere. Al primo urlo della sirena, con una velocità fulminea era accanto ai nostri letti, c’infilava prima le scarpe, poi il cappotto e giù per le scale”.

Camillo Albanese

 

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