Marina confalone, Rachilina di così parlò Bellavista si racconta: Tra Eduardo e le avance di Fellini. Il suo unico amore è Napoli.
di ILARIA URBANI la Repubblica
Marina confalone Classe 1951, figlia di un cartolaio di ascendenze nobiliari («Non voleva facessi l’attrice, non ci siamo parlati per 18 anni», dice commossa) e di una esercente cinematografica Anna Cuccurullo, figlia di Gustavo, uno dei pionieri del cinema, Rachelina di Così parlò Bellavista è convinta di essere insicura, ma ha coraggio da vendere.
Signora Confalone, ha tanti progetti, tutti a Napoli, città che non ha mai abbandonato…
«È di una bellezza stratosferica, e ogni giorno la vedo più bella. Voglio mettermi gratis al servizio di Napoli, chiederò al sindaco e all’assessore alla cultura uno spazio per fare teatro con e per i ragazzi».
A 23 anni Eduardo la prese in compagnia: è vero che lei in un primo momento rifiutò?
«Nel 1974 feci il provino con lui ma dovevo già portare in scena Brecht con la giovane compagnia di Carmine Servino. Non mi preparai nulla, ma nonostante tutto Eduardo mi prese. Io però non volevo abbandonare la compagnia che con tanti sforzi andava in scena. Così glielo scrissi.
E non andai. L’anno dopo ero libera, gli chiesi se voleva riprendermi. Lui: “Ma come? L’avevo chiamata l’anno scorso. Ma va bene, venga comunque”. Così entrai in compagnia. Debuttai alla Pergola a Firenze ne Il coraggio di un pompiere napoletano. Avevo sette battute, ma studiavo notte e giorno.
All’epoca in compagnia si dormiva tutt’insieme, una notte Sergio Solli e Marisa Laurito non riuscivano a dormire perché io studiavo e Sergio mi buttò un secchio d’acqua in testa. Interpretavo la duchessa Famme sta’ ca’, eravamo finti nobili, mi inventai un’andatura comica: Eduardo si mise a ridere e iniziò a farla anche lui, la fecero tutti».
E nonostante Eduardo la stimasse così tanto, lei lo temeva?
«Ho lasciato la compagnia per l’insicurezza. Eduardo mi voleva bene, mi diceva che ero l’erede di Titina. Ridevano tanto insieme. Avevo fatto già quattro grandi commedie con lui, ma continuavo a temerlo. Quando mi fece chiamare nel ‘76 e rifiutai, se la prese a morte.
Cercavo anche un altro metodo di recitazione che si basasse sull’identificazione. Lo trovai con Cecchi. Mi piace il teatro rischioso. Ne L’uomo. La bestia e la virtù interpretavo un personaggio descritto da Pirandello come una gallina.
Quindi comprai una gallina color giallo oro per imitarla: la tenevo nel monolocale in via Flaminia dove vivevo con Marisa Laurito. Con lei abbiamo vissuto a Roma “l’edonismo reaganiano”, molti incontri, ma era una vita superficiale. Sono la più grande “sciupa-occasioni” che conosca…».
Perché?
«Ho fatto tanti errori, nel 1986 poco dopo il primo David che vinsi per Così parlò Bellavista ho rifiutato Speriamo che sia femmina che poi ha fatto Athina Cenci.
C’erano Liv Ullman, Catherine Deneuve, Philippe Noiret, Stefania Sandrelli. Monicelli fu sbigottito. Ma io temevo il confronto con quei mostri sacri. Ho rinunciato anche a Benvenuti al Sud, Un medico in famiglia e i sabati su Rai1 come valletta di Pippo Baudo.
Invece portavo in scena Pinter in Sicilia quando Lina Wertmüller mi chiamò per Francesca e Nunziata con Sofia Loren. Peccato, mi sarebbe piaciuto recitare con una grande come lei».
Il suo “Mi avete rotto le ovaie!” ne La città delle donne di Fellini è diventato una gif. Come andò con lui?
«Fu un’improvvisazione che piacque a Fellini. Poi andai al suo studio per sapere se c’erano altri ruoli. Fellini diceva che era innamorato di me, mi spinse dietro a una porta, voleva baciarmi, ma io mi rifiutai. Lui disse: non sei contenta che sono attratto da te? E io: No perché lei lo fa con tutti.
E lui: Sì tendenzialmente, sì. Mi disse: sei troppo bella, hai dei fianchi come anfore, devi fare tanti figli! Poi lo invitai a pranzo a casa, tanto c’era Marisa. Ma era un tugurio, ci ripensai e lo richiamai per disdire…».
Cosa avrebbe fatto se non avesse fatto l’attrice?
«L’autrice. Scrivere, mi rende felice. Adoro il mio spettacolo Sam Capuozzo, musiche di Elio».