Scugnizzo Insigne è l’unico scugnizzo fra i campioni stranieri: con prestazioni super e magie da fenomeno sta esaltando i tifosi.
Scrive il Cds
Scugnizzo Insigne, dai campi polverosi ai templi del calcio: una stella che brilla
Basta lasciarsi andare un po’ e voltarsi, per starsene un po’ soli con se stessi, accarezzare il tempo perduto e godersi questa vita, avvolto nella fresca leggerezza d’una bandiera: venticinque anni e sentirli (?) addosso («ahia, non sono più un ragazzino») però avendo in sé la consapevolezza d’averli spesi bene, d’essere uscito da quel guscio per ritrovarsi beatamente idolo e simbolo del Terzo Millennio.
L’oro di Napoli – tout court – brilla in quest’universo tra Frattamaggiore e Frattaminore che appartiene da sempre a Lorenzo Insigne, che al primo vagito, alla prima finta, al primo dribbling, alla prima veronica, s’incammino verso il San Paolo, la culla dei sogni.
Il viaggio continua, però riparte dalle origini, da quella amabile ossessione che l’ha trascinato (finalmente) tra le braccia della gente, in quel praticantato tra ciottoli di strada trasformati in campi di calcio e capitoli d’un romanzo che tra Madrid e Verona s’è arricchito di nuove perle.
L’Insigne maestro che prende in giro chiunque, magari pure se medesimo, di certo (innanzitutto) le parabole per la Storia s’è rimesso in testa (e l’ha detto giovedì scorso al Corriere dello Sport-Stadio) di provare a vincere «altri trofei importanti con questa maglia». Nella bacheca personale c’è posto: una promozione in serie A con il Pescara, una coppa Italia e una Supercoppa da principe azzurro. Ma gli scugnizzi, si sa, pensano in Grande