Maradona, l’ultima partita con la maglia del Napoli al San Paolo, il 17 marzo 1991

Maradona, 30 anni fa l’ultima partita con la maglia del Napoli allo stadio San Paolo.

Il 17 Marzo 1991 l’ultima partita di Maradona con la maglia del Napoli. Il giornalista Francesco De Luca sul quotidiano il Mattino racconta cosa accade quel giorno che mise fine ad una magica storia cominciata nel 1984.

“L’assist per il gol di Zola in Napoli-Bari fu l’ultimo atto di Maradona al San Paolo, lo stadio che adesso ha il suo nome. Quella domenica di trent’anni fa i tifosi azzurri non potevano immaginare che non lo avrebbero più visto giocare qui.

Il 17 marzo del 91 l’ultima partita di Maradona al San Paolo, sette giorni dopo l’ultima in Italia, sul campo della Sampdoria (con la maglia numero 10 di colore rosso regalata al capitano Mancini).

Poche ore prima della trasferta a Genova arrivò la notizia che Diego era risultato positivo al controllo antidoping dopo Napoli-Bari. Cocaina, tracce evidenti. E proprio a Genova il vicepresidente del club, Francesco Serao, rovinò la cena al capitano: «Ti devo dare una notizia». Ferlaino aveva intanto telefonato al presidente della Lega, Nizzola: «Ma non possiamo fare niente?». Niente, era tutto finito.

L’ultima partita di Maradona al San Paolo fu anonima come quel campionato del Napoli. La storia cominciata nell’84 era ai titoli di coda, ma nessuno prevedeva un finale così traumatico.

MARADONA SORTEGGIATO ALL’ANTIDOPING

Per quattro giorni né l’allenatore Bigon né i compagni avevano visto Diego al Centro Paradiso. «Problemi alla caviglia, si cura a casa», l’aggiornamento del medico sociale Bianciardi per i cronisti. Il problema era un altro, il solito: la cocaina. Quella domenica Maradona si presentò a Soccavo, dov’erano in ritiro i compagni, alle 9. Qualche giro di campo e poi chiese a Bigon: «Mi fai giocare?». Certo, Diego. Nessuno pensò che sarebbe stato meglio farlo tornare a casa dopo quattro giorni di assenza. Tutti sapevano come trascorreva i suoi giorni e le sue notti.

Maradona giocò, da segnalare solo il passaggio per il suo erede all’11’ del secondo tempo. «Meno male che ha effettuato il cross per il gol di Zola. Altrimenti che facevo: gli mettevo senza voto o 3,5?», scrisse nella pagella Giuseppe Pacileo sul Mattino.

A fine partita, il sorteggio antidoping. Uno dei due azzurri estratti fu Maradona, che si diresse verso la sala perplesso. Entrò e cominciò a dare pugni alla porta. «Chiamatemi..». Urlò il nome di un tesserato, quello che secondo successive ricostruzioni avrebbe provveduto a dargli la provetta pulita (con la sua urina) se veniva sorteggiato per il controllo.

Il capitano continuava a dare pugni alla porta. Perché aveva capito che sarebbe stato scoperto. E che era finita.

MARADONA SQUALIFICATO A VITA

Moggi si trovava in un altro angolo del San Paolo a spiegare ai cronisti perché lasciava il Napoli. Si sapeva che sarebbe partito anche Diego. «Ho deciso, a fine campionato andrò via», disse negli spogliatoi a Francesco Marolda.
La fine, però, era arrivata quella domenica.
Sanzione pesante: Maradona squalificato fino al 30 giugno del 92. I suoi legali Vincenzo Siniscalchi e Giovanni Verde assunsero due consulenti, i professori Manfred Donike e Angelo Fiori, per la difesa davanti alla Corte d’appello federale. Donike, direttore del laboratorio antidoping di Colonia, sostenne che le provette non erano state chiuse bene: ipotizzò un test alterato. Vi fu un’inchiesta della magistratura, ma non finì come il recente caso del marciatore Schwazer.

YO SOOY EL DIEGO

Maradona era cocainomane e nella provetta c’era cocaina, ma lui lanciò la teoria del complotto accusando Antonio Matarrese, presidente della Federcalcio, di essere la mano nera perché voleva fargli pagare l’eliminazione dell’Italia ai Mondiali del 90.
«La finale avrebbe dovuto essere Italia-Germania, un grosso affare. Si trattò di una losca manovra, fu il doping di Matarrese perché in quella partita io ero pulito. Andai via dall’Italia trattato come un delinquente», raccontò nel libro Yo soy el Diego.
La verità, forse, è che era venuta meno la rete di protezione. Dodici anni dopo – 11 settembre 2003 – Ferlaino rivelò in un’intervista a Toni Iavarone: «Venni al corrente che si adottava un trucco: se qualcuno era a rischio gli si dava una pompetta contenente l’urina di un altro, l’interessato la sistemava nella tuta e nella sala metteva questa urina nella provetta. Quel 17 marzo del 1991 Moggi aveva chiesto a Maradona se andava tutto bene e lui aveva detto di sì».

Diego da tempo era drogato e fuori dalle regole: difficile credere che quel 17 marzo fosse arrivato un fulmine a ciel sereno, probabilmente prima c’era chi abilmente evitava che venisse scoperto positivo all’antidoping. Dopo quella intervista al Mattino Maradona, ricoverato a Cuba per disintossicarsi, minacciò di querelare Ferlaino. «Io non volevo accusare nessuno, avevo raccolto voci», puntualizzò l’ex presidente. Quando si rividero, non ne parlarono: li univano per fortuna soltanto i ricordi più belli.

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